Che senso ha la guerra dei server?

L’acerrima rivalità tra i big player del comparto server si traduce in continui rilasci di nuovi prodotti. Ma non sarà l’utente a farne le spese?

1° luglio 2002 Una domanda retorica: che
senso ha la guerra? Risposta altrettanto retorica: nessuno. Eppure c’e’: il
mondo vive di guerre. E anche quello dell’It vive di contrapposizioni acerrime,
per fortuna incruente, ma che comunque sarebbe bene evitare, nella salvaguardia
dell’unico soggetto sensibile che esiste nel mercato: l’utente.
Lo scenario
dei server “high end”, ultimamente, è caratterizzato da una guerra “all’ultima
prestazione” che vede protagonisti i due vendor “guida”, Ibm e
Sun, che non si risparmiano colpi, non bassi ma alti, e
risposte fattuali.
Sun ha un’architettura server, che si concretizza con
l’offerta SunFire “k”, dove questa lettera significa migliaia
di transazioni supportate nell’unita’ di tempo. Non passa mese che i modelli di
punta vengano sezionati per trovare escamotage in grado di rilanciarne la
capacita’ transazionale. E così fa Ibm, consapevole di una
tradizione mainframe da valorizzare, che aggiorna le prestazioni delle proprie
gamme alte, Z e P series, da un lato aumentandone l’olistica
dell’architettura, dall’altro agendo sulla leva del costo. I raffronti fra le
due offerte sono sempre all’ordine del giorno, sia in campo transazionale, sia
su quello del Roi. Big Blue parla di “attacchi alle roccaforti”, Sun risponde
con metafore di taglio motoristico. La sostanza rimane quella di un quadro
caldo.
Il tutto mentre la terza sorella del fronte server,
Hp, sta riorganizzando l’offerta, cercando di mettere ordine in
un campo a lei nuovo, l’architettura Alpha (passata, in cinque
anni, di mano tre volte: Digital, Compaq e, ora, Intel-Hp), nelle vecchie
strutture Risc e nella nuova offerta Itanium a 64 bit
(ora prossima alla versione 2), sulla quale aveva investito anzitempo.

Senza entrare nel merito tecnico della questione, non essendo questa la
sede, ci permettiamo di lanciare provocatoriamente un’ulteriore domanda
retorica. Anzi due.
La prima: cui prodest?.
La seconda: possibile che la
corsa strozzata della new economy (nella quale la parte
tecnologico-architetturale di supporto alle trasnazioni aveva il suo ruolo ben
definito) non abbia insegnato a rallentare il metebolismo delle innovazioni?

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