Percorso a tre fasi per arrivare al private cloud

La società di analisi Ema ha dettagliato una strategia passo-passo che parte dalla virtualizzazione. Al centro c’è il catalogo dei servizi.

Sviluppare una virtualizzazione con policy chiare e un approccio self service, automatizzare la gestione e il deployment e quindi preparare un catalogo di servizi sono le tre fasi fondamentali per arrivare passo-passo ad avere una nuvola proprietaria.

Ma non basta: il catalogo può anche essere impostato su una ridotta quantità di risorse, ma deve avere un’interfaccia anch’essa self-service. Che consenta di ampliare le singole offerte tramite opzioni o maggiori risorse, il tutto con una gestione dei costi del tutto trasparente. Ed ecco che il private cloud è disponibile in un comodo front office.

È  questo il progetto a passi successivi che modernizza l’Ict aziendale andando verso la formula più diffusa, il private cloud, evitando i rischi relativi secondo il white paper “The Building Blocks for Private Cloud” dell’azienda di analisi statunitense Ema.

Nelle valutazioni dei loro esperti la penetrazione in azienda della virtualizzazione riguarda oggi circa il 30% dei server, una percentuale tenuta bassa dal contrasto interno del dipartimento It che vuol mantenere la gestione manuale e quindi un alto numero di addetti. Parlando strettamente di private cloud, il 75% delle aziende lo individua come soluzione, alle volte con un misto tra sviluppo personalizzato e servizi hosted: di contro, appena il 16% si affiderebbe integralmente ad un service provider.
Del cloud quindi non esiste solo la versione pubblica e di grandi fornitori quali Amazon e Google. Secondo l’indagine Ema la soluzione più diffusa è sempre quella interna alle singole aziende ed è importante che il personale smetta di vederla come una minaccia, ma piuttosto una integrazione.

Il cuore nel catalogo
L’indagine alla base della ricerca dei mattoni costitutivi della moderna It è stata realizzata per conto di newScale, un’azienda nota per i suoi Service Catalog. Non sorprende quindi che parte dell’indagine identifichi in questo componente quello centrale per una implementazione di successo, ma andiamo con ordine.
Conformandosi alla classica definizione del Nist, l’ente statunitense degli standard, i blocchi individuati da Ema sono tre: automazione dell’infrastruttura, virtualizzazione e gestione dei servizi. La gestione in automatico del maggior numero di compiti libera risorse; la virtualizzazione elimina la necessità di assemblare fisicamente l’infrastruttura; i servizi abilitano la cloud privata.
Proprio l’ultimo aspetto è il più importante e va sviluppato nel modo più appropriato, mantenendo l’attenzione sulla specifica attività e stabilendo politiche che consentano un uso self service e misurazioni idonee. In conseguenza, l’elemento centrale della gestione dei servizi è un vero e proprio catalogo, che sia visibile in azienda in tutte le sue caratteristiche: servizi, provisioning, livelli di servizio e costi relativi. Ovviamente il catalogo è più efficace se non si limita a descrivere ma rende possibile direttamente fare l’ordine. Ovviamente opzioni, prezzi, ordini e fatturazione devono essere presenti e chiari nell’interfaccia utente nel private cloud, così come avviene nel public cloud.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome