I dati emersi dal Focus Pmi condotto dall’Istituto Tagliacarne su 1.600 realtà italiane e promosso da Lexjus Sinacta parla di piccole e medie realtà pronte a internazionalizzarsi con il supporto di chi, però, i soldi li dà a chi all’estero c’è già.
Sono piccole e medie imprese sempre più interessate a uscire dai confini nazionali con il supporto delle banche quelle interpellate dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne per la terza edizione dell’Osservatorio annuale sulle Piccole e Medie Imprese italiane.
Peccato che, pur ritenuto “fondamentale” da 2 imprese su 3 il ruolo degli istituti di credito, il quadro tracciato dal Focus Pmi evidenzi una situazione in cui chi eroga il denaro lo fa per sostenere chi all’estero c’è già.
Promossa da Ls Lexjus Sinacta e condotta su 1.600 Pmi di casa nostra, l’indagine ha, infatti, messo in luce come, a fronte di un ben nutrito 58,3% di Pmi italiane che non ha riscontrato problemi nell’ultimo anno ad affrontare gli impegni finanziari presi, ben il 30-33% delle realtà che hanno fatto domanda di accesso al credito sia stato protagonista di un parziale accoglimento o totale rifiuto da parte delle banche.
In particolare, stando a quanto reso noto nella terza edizione dell’Osservatorio, “si sono viste negare il credito maggiormente le aziende che operano su mercati di prossimità (20,5% dei casi), mentre le Pmi internazionalizzate mostrano, al contrario, incidenze più alte di accoglimento in toto della richiesta di maggior credito”.
Ciò non di meno, per quasi il 43% del campione, il supporto bancario risulterebbe “parte del processo di internazionalizzazione stesso”, tanto che “un atteggiamento maggiormente proattivo degli istituti di credito indurrebbe il 25,7% delle Pmi non ancora internazionalizzate a proiettarsi sui mercati esteri”.
Ma tant’è.
Propensione all’investimento contratta dalla crisi
Su tutto torna a incombere la crisi economica in atto che, secondo i dati e gli scenari emersi nel corso del Convegno organizzato a Milano dalla realtà costituita da oltre 180 avvocati e dottori commercialisti con 9 sedi lungo tutto lo Stivale, avrebbe contratto la propensione all’investimento delle Pmi italiane.
Solo il 20,5% di quelle intervistate avrebbe, infatti, dichiarato di prevedere investimenti per il 2013 in atto.
Ma non solo.
Perché laddove sono stati o si intende realizzarli, si pensa all’autofinanziamento. Basti pensare che oltre il 31% delle aziende nate dopo il 2005 o di più recente costituzione affermano di non ricorrere affatto alle banche, “dimostrando quindi una specifica difficoltà del sistema bancario nel sostegno alle startup”.
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