Software illegale: a rimetterci sono anche le start up

Se è vero, come sostiene uno studio CReSV Bocconi-Microsoft, che alti livelli di investimento in software sono correlati ad alti livelli di capitale circolante nelle aziende, le giovani imprese vanno favorite fiscalmente e aiutate a non perire sotto il peso della concorrenza sleale.

In Italia le imprese che investono in software legale sono mediamente dimensionate, maggiormente patrimonializzate, in grado di generare flussi di cassa e pure più longeve rispetto alle altre.

A dirlo è uno studio, da noi condotto per la prima volta dal CReSV su un campione di 289 società quotate italiane, e realizzato con la collaborazione di Microsoft Italia, attore interessato, e per questo attento, a valutare anche il valore, ma soprattutto, il “disvalore sociale”, che la contraffazione genera all’interno della società stessa.

A darne conto è Antonio Salvi annunciando, in qualità di direttore dell’Osservatorio M&A del già citato Centro di ricerche su sostenibilità e valore dell’Università Bocconi di Milano, uno scenario “work in progress” realizzato analizzando le relazioni statistiche tra l’investimento in software e le variabili economico-finanziarie delle imprese che (anche da noi) acquisiscono beni e servizi in forma legale.

In soccorso di chi punta tutto sul capitale intellettuale
Ne viene fuori, neanche tanto a sorpresa, che a risentire degli effetti negativi della contraffazione non è il solo settore analizzato ma l’intero sistema economico italiano, mentre dal punto di vista della concorrenza sleale, a uscire fuori con le ossa rotte, sono soprattutto le start up.

«Intese nella duplice accezione di “giovani imprese” e di “imprese dei giovani” loro per prime – denuncia Salvi – si tengono alla larga da soluzioni contraffatte».
Non certo per masochismo, ma perché «consapevoli che beni e servizi del digitale sono un fattore di leva vincente», perché coscienti di «dover investire su beni intangibili» e perché «convinte che il vero capitale sul quale un’azienda nasce, cresce e si sviluppa presentandosi sul mercato e concorrendo al suo interno è quello intellettuale».

Pirateria e contraffazione: continuiamo a rimetterci tutti
Peccato siano già svantaggiate in partenza, se si considera che si accingono a competere in un mercato che, le stime dell’ultimo rapporto firmato Bsa attestano al secondo posto in Europa per uso di software contraffatti dalle aziende, con un tasso di pirateria che si aggira intorno al 48%, rispetto a una media europea compresa tra il 26 e il 35%.

E poco conta ricordare come fa Salvi, «gli effetti negativi di pirateria e contraffazione, che incidono su comunità, tessuto economico-produttivo e sull’economia dell’interno Sistema Paese distorcendo il mercato a danno delle imprese oneste».

O forse no.

Ecco perché conviene investire in software legale
Perché se una cosa la ricerca del CReSV ha messo nero su bianche è che investire nel software legale alle imprese conviene. Non solo perché evita di incorrere in multe e sanzionamenti previsti dalla normativa in vigore ma perché coloro che non ricorrono a gestionali piratati «hanno una reddittività non solo più alta, ma pure crescente e direttamente proporzionale all’aumentare degli investimenti in software realizzati».

È quanto si evince dalle 700 osservazioni prodotte in un arco temporale di sette anni (dal 2004 al 2011), sui bilanci finanziari di un centinaio di aziende italiane in tutto, al netto delle 33 realtà finanziarie e delle 142 imprese con un’età inferiore ai 4 anni di vita scremate dal campione citato inizialmente di 289 aziende quotate sulla Borsa Italiana.

Due suggerimenti a chi andrà al Governo
Ma se gli investimenti in software definiti in ambito di ricerca analizzando il delta tra un anno e l’altro e aggiungendo agli ammortamenti dell’esercizio analizzato non danno ancora, in Italia, i risultati sperati, i suggerimenti per combattere lo status quo dei software contraffatti non mancano.

Il primo è di mercato e passa dal favorire la longevità, la crescita e la patrimonializzazione delle aziende che mostrano, a loro volta, un incremento della propensione a investire in software non piratato.

Il secondo è favorire fiscalmente le aziende che hanno minori dimensioni e mezzi rispetto a quelle analizzate nella ricerca che, sotto l’aspetto del campione considerato, non poteva che produrre un certo tipo di risultati.

Anche per questo, nelle prossime settimane, il lavoro del CReSV muoverà verso una comprensione più segmentata dal punto di vista dimensionale, settoriale, geografico e quant’altro dell’incidenza degli investimenti in software. Capendo, grazie a un’ulteriore articolazione del campione analizzato, se i risultati cui si è pervenuto in precedenza mantengono, rafforzano o sminuiscono la loro validità.

I frutti della retta via si raccolgono nel lungo periodo
Nell’attesa vale la pena riportare alla mente, come ha fatto Maurizio Dallocchio, Nomura chair of corporate finance, Università Bocconi, i risultati di una ricerca condotta tra il 2009 e il 2010 e secondo la quale, se è vero che le imprese che incentrano sulla qualità e sul rispetto delle regole la propria strategia di business non registrano differenze sostanziali in termini di produttività rispetto a chi non lo fa, è altrettanto vento che, nel lungo periodo, sono solo loro a risultare più sostenibili, con un impatto complessivo sul sistema più positivo e una permanenza nel sistema stesso più lunga rispetto alle altre.

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