Nuove opportunità dal crowdfunding anche per le Pmi

Lontano dal proporsi come alternativa alla Borsa o ai Bot, nasce e si diffonde anche in Italia la cultura del processo collaborativo che, dal basso, non porta a rendite speculative ma a un ritorno di carattere territoriale, espresso in occupazione e servizi alla comunità. Non solo per le startup.

Se è vero che l’Italia è il Paese in cui la piccola e media classe imprenditoriale ritiene che il numero corretto di soci con i quali stringere alleanze debba essere dispari ma che “arrivati a tre si è già in troppi”, il crowdfunding investing di cui si fa un gran parlare di questi ultimi tempi può rappresentare uno strumento utile.

Non solo a sostenere le startup innovative, ma anche a modernizzare le Pmi che costituiscono lo zoccolo duro del tessuto imprenditoriale del nostro Paese.

Ne è convinto, tra gli altri, Alvise Biffi, consigliere della Camera di Commercio di Milano, attento a porre l’accento su una tradizione “padronale” ormai tramontata e a investire la startup del ruolo di «veicolo naturale di modernizzazione della piccola e media impresa nostrana».

Ancora una volta, su una strada lastricata di buone intenzioni, le criticità da abbattere tornano a chiamarsi “normative” e “complessità” mentre, per esser compreso, il processo collaborativo che sottende al concetto di crowdfunding investing (all’interno del quale un gruppo di persone utilizza il proprio denaro per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni), ha bisogno di «poche regole chiare e facilmente verificabili».

«Solo così – continua Biffi ammiccando alla Consob chiamata a scrivere le regole del gioco in Italiasi dà fiducia a chi è chiamato a investire affrontando un cambiamento culturale dove il rendimento non è più meramente speculativo ma è un mix tra risparmio e benefici, e il cui ritorno è misurabile in termini di servizi per la comunità».

Due elementi fondamentali, «tenuto conto che, con il crowdfunding, ci si propone di agire su un popolo di risparmiatori poco avvezzo al rischio e che è interessato a vedere in questo strumento un ritorno di carattere territoriale, anche in termine di occupazione per i propri figli o nipoti che siano».

La premessa per un nuovo Welfare in Italia
E che accanto a venture capital e business angel sia tempo di veder nascere e crescere iniziative di crowdfunding «al momento gestite facendo un match di entrambe le modalità di business utilizzate dalle categorie di investitori citati», lo dicono iniziative come quella messa in evidenza in un recente convegno a Milano da Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima che, nel Gruppo Intesa Sanpaolo, si occupa esclusivamente del terzo settore.

«Con 17mila nuovi posti di lavoro conteggiati nel solo sistema delle cooperative sociali, il terzo settore rappresenta l’unico comparto in crescita nel nostro Paese e per questo – chiarisce subito Morganti – ha bisogno di strumenti dedicati per crescere e far crescere una composizione demografica composta, per oltre il 40% da donne, con un’età media di 40 anni e la laurea come titolo di studio contemplato in ben il 78% dei casi».

Va da sé, allora, che nell’universo sperimentato da una banca che «raccoglie tutto il proprio denaro da questo mondo e che lo presta esclusivamente alle realtà che di esso fanno parte», l’esperienza fatta è di un’economia «molto solida che, però, invita a rendimenti minori ma portatori di una maggiore stabilità dalla quale fuoriesce anche un più alto coefficiente di intensità di lavoro».

A fronte di questi, però, l’esempio citato nel nostro Paese parla di un posto in asilo nido offerto solo a 8 bambini su 100 contro una media europea pari a 35/100 che, «senza di noi e senza i classici compagni di sventura indicati in Grecia, Spagna e Portogallo, arriverebbe a superare l’80% dei servizi alla comunità».

Arrivare a capire che la sostenibilità del terzo settore è riposta, per Morganti, nella sua relazione con una comunità di riferimento dovrebbe, dunque, essere sufficiente a spiegare, di per sé, la necessità (sempre per il terzo settore) di crescere ricevendo denaro offerto tempestivamente e a costi bassi.
Così, se Banca Prossima «si accolla l’onere di valutare la sostenibilità del rischio del prestar soldi al terzo settore portando a casa una qualità del credito pari al 99,3%» ad altri va il compito di abbassare il costo del denaro.

E qui il crowdfunding fa al caso nostro.

Lo racconta l’esperienza di un prestito a dieci anni riportato dall’ad di Banca Prossima con un costo del denaro intorno agli 8,5 punti percentuali, «di cui oltre il 5% espresso come costo del denaro per la banca e il resto a copertura del rischio e degli stipendi per la banca stessa».
Ipoteticamente tradotto anche per un soggetto del terzo settore, comprare un milione di euro all’8,5% di interesse vuol dire pagare 85mila euro di interessi all’anno che, però, con l’ingresso nella partita di prestatori privati, «perché nessuna venture capital investe in una non-profit che non può dare profitti», torna a parlare di sostenibilità grazie a soggetti che, a fronte di un capitale garantito, abbassano la propria pretesa di remunerazione.

Il tutto a patto che la banca torni a fare i mestieri che le competono, «ossia capire la sostenibilità e prestare una garanzia fatta di credibilità e capacità di valutare il rischio».

Con questo modello, e non più in maniera ipotetica, qualche mese fa Banca Prossima ha sostenuto Cometa, una delle cinque società finanziate dall’isitituto di credito con questo modello, che si occupa di reinserire nella società giovani borderline, prestando solo un terzo del milione di euro richiesto all’8,5% per un totale di 24mila euro di interessi all’anno.
«Il resto – conclude Morganti – è stato prestato all’1% di interesse da privati cittadini che non avevano in testa una speculazione ma un investimento sociale che la Banca d’Italia ha garantito imponendo a noi, in qualità di risk taker, di garantire il capitale del prestatore».

Ancora più efficace, infine, il ruolo della Consob che, considerando come non negoziabile, e quindi non cedibile a terzi il titolo di credito dei cittadini nei confronti dell’organizzazione finanziata, non ha posto alcun ostacolo a questo e ai 25 progetti a oggi finanziati da Banca Prossima per un totale di 5 milioni di euro che, a loro volta, hanno permesso di cumulare con l’aiuto di privati «centinaia di migliaia di euro, che diventano posti di lavoro, servizi e Welfare».

Ora, è la conclusione di Alvise Biffi, pensate cosa potrebbe fare il crowdfunding investing nei confronti di Pmi che non hanno le dimensioni e il capitale per modernizzarsi ma che, dando vita a una startup, potrebbero riqualificarsi sul mercato globale facendo ricorso al proprio contesto locale interessato a promuovere e ridare una dimensione “reale” ai propri investimenti.

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