F5 Networks: stare un passo avanti per far bene alle reti

Manlio Paparelli spiega perché ad anticipare il day-by-day c’è da guadagnarci. E che il cloud è una questione di fiducia e lucidità d’ingegno.

Da anni F5 Networks si è fatta portatrice di un messaggio chiaro verso i detentori delle reti, un’esortazione a investire in soluzioni di ottimizzazione per rendere trattabili, disponibili e sicure le applicazioni che vi transitano, a beneficio dell’operatività d’azienda.
In somma sintesi: Application delivery networking.

La casa di Seattle è guidata in Italia da Manlio Paparelli (manager di lungo corso nel mercato networking nazionale), in qualità di Regional Director Italia e Turchia.
«In questi anni ci siamo affermati su tutti i trend tecnologici determinati dalle nuove esigenze – ci dice -. Abbiamo una presenza sostanziale presso tutte le grandi imprese, anche Pa. Per loro la nostra tecnologia è importante e necessaria per far conseguire gli obiettivi economici relativi a virtualizzazione, cloud, consolidamento del datacenter».

Detta così pare che il vostro ruolo debba essere quello degli anticipatori tecnologici…

Lo siamo. Manteniamo la leadership tecnologica di avanguardia. Non dimentichiamo che la virtualizzazione nasce con F5 per far utilizzare l’applicazione più disponibile. La facciamo da almeno quindici anni.
Ma il nostro approccio visionario è un continuum.

L’Application delivery networking è stato digerito dalle aziende?


Partiamo sempre dal fatto che noi portiamo sul mercato cose più avanzate di quel che il mercato necessita sul momento. Siamo più avanti rispetto alla gestione day by day. Comunque oggi si parla ancora di bilanciamento, di traffic shaping e management. In alcuni ambiti, come il finance, il motivo è chiaro sin dall’inizio: la qualità. Le Tlc hanno bisogno di soluzioni più specializzate.
Poi comunque dipende dalla dimensione dell’azienda, qualsiasi sia il settore.

A chi parlate in azienda?

Il passato il nostro interlocutore era solamente l’uomo del networking. Ora con le applicazioni di business si aggiungono altre figure manageriali.
Il cloud come cambia, se lo fa, il vostro scenario?
Sul lato della sicurezza il nostro ruolo diventa ancora più importante. Non diamo solo una piattaforma, ma qualcosa di trusted. Sta a noi, insomma, rassicurare l’utente finale con una soluzione sicura e lavorando in parallelo con le società che danno i servizi.

L’attività è fattibile anche per il cloud più difficile? Quello ibrido?

È una complessità che siamo abituati a maneggiare. Il nostro ruolo è sempre quello di chi è capace di fare il giusto distinguo, fra la complessità che va gestita e quella che può far paura. La prima si risolve con la buona programmazione, la seconda riguarda temi da ricondurre nel giusto alveo.

Ma questo tipo di cloud è stata una sorpresa?

Non per noi che, certo non da soli, lo abbiamo determinato, assolvendo il compito che spetta a ogni azienda innovativa.
E adesso che competenze servono sul campo?
Aiutiamo gli utenti con il nostro solito metodo di supporto, ma lo facciamo in un contesto di riferimento più ampio. Di fatto abbiamo un ruolo consulenziale più forte. Con i partner abbiamo ridefinito un anno fa il programma, rendendolo più strutturato, riconoscendo gli operatori ma anche chiedendo loro più investimenti in knowldedge.

Che mercato è l’Italia per voi?


Un buon mercato, che ogni trimestre ci porta nuovi clienti nei principali settori.

Di che qualità è la rete nelle aziende italiane?

Diciamo che è in evoluzione, che alcune aziende sono state penalizzate da investimenti scarsi. Ma ora c’è una tendenza, specie in ambito enterprise, a investire in infrastrutture, specie nel campo delle Tlc e dei provider.

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