Lezione numero tre: in che modo un’organizzazione conserva l’identità a fronte di uno scenario che cambia continuamente

Forse il contributo più duraturo che Thomas Watson Sr. ha dato al mondo è l’idea che un’organizzazione può e deve crearsi in modo consapevole una propria cultura. Naturalmente ogni organizzazione, ogni città, ogni comunità hanno una cultura, che in gen …

Forse il contributo più duraturo che Thomas Watson Sr. ha dato al mondo è l’idea che un’organizzazione può e deve crearsi in modo consapevole una propria cultura.
Naturalmente ogni organizzazione, ogni città, ogni comunità hanno una cultura, che in genere viene definita come “il modo in cui qui facciamo le cose”.

Di solito questa cultura è una conseguenza dell’organizzazione che è stata loro data dal fondatore: dei suoi valori, delle sue azioni, delle sue decisioni, della sua personalità.
Senza dubbio, nel business il culto della personalità è un richiamo non privo di efficacia. I media contribuiscono ad alimentarlo.

La Borsa ci specula. Alcuni dipendenti lo vogliono ardentemente. Lo stesso Thomas Watson Sr. ne fu uno dei primi esempi.
Ma cosa succede quando il fondatore non c’è più? La sfida diventa quella di perpetuare una cultura nel tempo. E questo è difficile. Per un secolo? E’ davvero molto difficile.

Come fate a individuare che cosa distingue un’organizzazione – cosa fa di Telecom Italia, Telecom Italia? di Eni, Eni o, per quanto ci riguarda, del Politecnico di Milano, il Politecnico di Milano? Qual è il fondamento immutabile su cui si basa la vostra cultura?

Cinquant’anni fa, nella sua lezione alla Columbia, Thomas Watson Jr. attribuì la vitalità della cultura di un’organizzazione non a esercizi di rito sul “team building” nè a canzoni aziendali – che pure c’erano in Ibm – ma alla presenza di valori o di una fede comune.

Ecco cosa disse: “Credo fermamente che ogni organizzazione, per sopravvivere e avere successo, debba condividere un solido insieme di convinzioni e ispirare ad esse le sue politiche e le sue azioni. Inoltre, credo il singolo elemento più importante nel successo di una compagnia sia la leale aderenza a queste convinzioni. Infine, credo che ogni organizzazione, per affrontare le sfide di un mondo che cambia, deve essere pronta a cambiare qualsiasi cosa di sè … tranne queste convinzioni … durante la sua vita come impresa”.

Lasciatemi ripetere l’ultima frase: ”essere pronta a cambiare qualsiasi cosa di sè, tranne queste convinzioni”.
Tom Watson non stava parlando di principi etici in generale. Non si trattava di rispetto della legalità o di comportamenti morali – a cui ogni individuo e ogni organizzazione è comunque tenuto.

Per lui i valori in cui una compagnia deve credere riguardano la sua identità, quello che la fa distinguere … quello che dà forma alle sue decisioni e ai suoi comportamenti.
La sua anima che, se ascoltata e difesa, è una garanzia che la compagnia rimanga unica e diversa da tutti … decennio dopo decennio.
Il tempo ci ha insegnato quanto questa idea è essenziale … come può essere gravemente compromessa … e come dobbiamo continuamente rivisitarla e ricontestualizzarla per le nuove generazioni.

Quello che voglio dimostrare, in effetti, è che questa base di valori è oggi più importante che mai. In un mondo che si sta globalizzando – dove il lavoro si distribuisce su grandi reti di organizzazioni e individui – le persone hanno bisogno di qualcosa che le tenga unite, che sia una pietra di paragone per le loro azioni e le loro decisioni.
Ecco perchè, quasi dieci anni fa, decidemmo che, se la Ibm voleva tornare a essere grande in una nuova era, era necessario tornare al nostro Dna.

Una delle prime cose che fece il nostro chairman Sam Palmisano fu quella di rivisitare i nostri valori di base. Ma non lo fece in modo tradizionale. Non viviamo più in un mondo in cui il capo può definire da solo i valori di base di una compagnia. Le persone Ibm oggi sono smaliziate, e le persone smaliziate vogliono essere indipendenti … anche un po’ ciniche. Non potete farli scendere dall’alto e dire “Questi sono i vostri valori”.
Perciò abbiamo usato un approccio differente. Ci siamo riuniti tutti quanti, in un meeeting online di 72 ore che abbiamo chiamato “jam”.

Ci fu confusione, una grande vivacità, ma soprattutto tanta passione ma, alla fine, i valori che vennero fuori non furono i valori della Ibm ma quelli degli “Ibmers”, cioè delle sue persone.
Abbiamo fatto tanto lavoro, da allora. Abbiamo trasformato la nostra compagnia in un’impresa globale. Abbiamo anche rifatto il nostro portafoglio di prodotti e servizi … uscendo tra l’altro dal mercato dei personal computer, come ho ricordato prima.

Quella decisione, che avrebbe potuto incontrare resistenze al nostro interno, fu invece subito accettata – e non per semplici considerazioni economiche o di strategia, ma perchè era coerente con i nostri valori.

Ebbene, io credo che nessuno di questi cambiamenti sarebbe stato efficace o sostenibile se prima non fossimo tornati ai fondamentali, tornati sui nostri passi, alle fondamenta della nostra cultura e non l’avessimo rivitalizzata per una nuova era.
In effetti, la storia della Ibm può essere vista come un esperimento lungo un secolo in cui abbiamo cercato di
istituzionalizzare e rendere permanente ciò che ci rende così come siamo.

E, come futura generazione di leader, vi suggerisco di fare in modo che sia proprio questo il vostro impegno fondamentale, indipendentemente dal tipo di lavoro, di organizzazione o comunità che andrete a dirigere.

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