Eito: è spread sull’Ict d’Europa

I dati del Rapporto 2012 dell’European Information Technology Observatory confermano quanto già detto da Assinform anche nel nostro Paese dove, in mancanza di una politica industriale seria, non andiamo da nessuna parte.

È la cronaca di un’Ict già sentita quella di scena alla presentazione dei dati del Rapporto Eito 2012 che, relegata online (e a pagamento ormai da anni) la versione integrale, negli spunti forniti dal suo honorary chair, Bruno Lamborghini, proietta (ahinoi) un film già visto.
Lo stesso che indica nei tablet e negli smartphone «i due soli elementi in crescita in un mercato Ict» dove a tener banco sono applicazioni, «spinte dal basso e non più solo dall’industria», e un cloud computing, «che apre a nuovi scenari».

Dato per assodato che, oggi, «il 70% del traffico informatico transita attraverso device mobili, veicolando in gran parte video – è l’ulteriore precisazione – e non più solo testi e numeri», quello su cui si sofferma Lamborghini è «la potenza delle reti di trasmissione chiamate a gestire big data e open data e quella nuova ondata di flussi rappresentata dall’Internet delle cose».

Ancora una volta, accanto a un’Europa in difficoltà economica, lo sguardo che cade sul lato Est del Vecchio Continente evidenzia la crescita di nazioni come Polonia, Romania, Bulgaria e Slovacchia «che stanno investendo in maniera importante nelle tecnologie informatiche crescendo, in media, in questo settore del 5% l’anno». La medesima percentuale riportata dal rappresentante dell’European Information Technology Observatory per quanto concerne la crescita dell’Ict registrata a livello mondiale, «mentre la Cina continua a far suoi tassi di crescita a due cifre» che ne fanno il terreno più fertile per il proliferare dei già citati smartphone che, stando alle previsioni Eito, «da qui al 2016, toccheranno quota 4 miliardi» e saranno localizzati prevalentemente in questo lato dell’emisfero.

Ciò detto, con una fetta pari al 24%, l’Europa costituita da Inghilterra (4,7%), Germania (4,9%), Francia (3,8%), Italia (2,3%), Spagna (1,8%) e resto del Continente (6,6%), si conferma il secondo più grande mercato dell’Ict al mondo. Peccato, è l’ulteriore puntualizzazione, che il peso derivante dalla somma del 26,6% rappresentato dagli Stati Uniti non produce un distacco netto tra il poco meno del 18% riportato dai Paesi Bric e da quel 22,8% prodotto dal resto del mondo, «segno che metà del Pil mondiale non proviene, né tanto meno, proverrà più in futuro da Stati Uniti, Europa e Giappone».

Tanto più se si guarda al mercato italiano
Quarto mercato Ict europeo, il nostro è quello che, insieme alla Spagna – «con la quale non condividiamo solo lo spread dei mercati finanziari» -, sta calando di più dal punto di vista dell’andamento del mercato dell’Information technology.
Similmente ai dati Assinform presentati di recente, anche quelli a cura di Eito parlano di un decremento del 4% registrato nel 2011 che, nel 2012, è valutato in calo di “solo” l’1,8%. Stesso andamento per le Tlc che, se a livello mondiale, spinte dai Paesi emergenti riportano una crescita del 5,1%, da noi (dopo un calo del 3% di un anno fa), paventano un lieve recupero (+1%) «dovuto non ai servizi degli operatori fissi e mobili che stanno diminuendo di oltre il 4%, ma alla forte concorrenza sul mercato, che si riflette su prezzi più vantaggiosi, e alla domanda di nuovi device».

Non migliora lo sguardo sull’elettronica di consumo che, in impercettibile recupero (+0,8%) nel mondo, nel 2012, in Italia, registra un -13,8% che, pur in crescita rispetto al -19,6% registrato un anno fa, sente il peso della comparazione con i più contenuti decrementi riportati nel 2011 (-8,4%) e nel 2012 (-4,2%).
«La verità – conclude Lamborghini – è che, sia le famiglie sia le imprese, spendono meno».
Lo dice la domanda di pc, in calo del 11,3% rispetto al 2011, contro la crescita degli smarphone «che rappresentano il 36% delle vendite dei dispositivi mobili» e i tablet «che, con un +120% sono in fortissima crescita».
Nel segmento della consumer eletronics a resistere sono solo le smart Tv, «che collegate alla rete Internet, rappresentano circa un terzo di tutti gli apparecchi televisivi venduti in Italia».

Come portare l’economia digitale in quella reale
Ancora una volta a mancare in Italia sono gli investimenti in banda larga per portare la fibra in tutte le case degli italiani «e con essa lo svilippo di servizi adeguati».
Torna a ribadirlo Cristiano Radaelli che, nelle vesti di presidente Anitec (Associazione nazionale in rappresentanza delle aziende fornitrici di servizi e tecnologia, nonché socio fondatore di Confindustria Digitale), sottolinea come «il raddoppio della velocità di connessione al Web equivale a un aumento del Pil pari allo 0,3%».
A patto che si definisca una strategia di medio-lungo termine e si garantiscano servizi end to end anche grazie allo sviluppo di reti di nuova generazione «sicure e integrabili» lungo tutto lo Stivale.
Ma anche – e soprattutto – che si metta mano a una politica industriale seria e in grado di definire i settori su cui puntare per tornare a crescere.

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