La sanità elettronica non è un’altra sanità

Viaggio nelle eccellenze dell’e-Health nel Nord Italia dove, in attesa che linguaggi aperti e condivisi per la programmazione assistenziale si affermino, la telemedicina e l’assisted living per malati cronici e diversamente abili sono già realtà.

Consentire ai pazienti cronici di beneficiare di un’assistenza domiciliare di qualità attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
Non ha prestato orecchio al solo piano eGov 2012 relativo alla sanità l’ultima fatica del ClubTi che, posto già da tempo il cittadino al centro del sistema salute, in qualità di realtà fondata per promuovere interscambi di esperienze attraverso iniziative mirate di indagine, è tornato a interrogarsi sulle potenzialità dell’e-Health e di tutti i servizi a valore aggiunto erogabili attraverso supporti digitali.

«Non senza prima comprendere – è il monito di Ornella Fouillouze, responsabile del gruppo di lavoro Sanità del ClubTi Milano – i livelli di sostenibilità economica e organizzativa che, a tendere, la cura delle patologie croniche a livello domiciliare comporteranno per il nostro Servizio Sanitario Nazionale».

Un concetto che suscita l’interesse di Mario Melazzini che, parte della direzione generale sanità Regione Lombardia, ricorda come, nel corso del 2012, nel suo solo territorio di competenza, siano attesi 126mila malati cronici.
«Un numero più che sufficiente per confidare che l’e-Health – confessa – si traduca in strumento sinergico per la presa in carico del paziente».

Magari come già avviene a Bergamo, Varese, ma anche in alcune realtà ospedaliere di Milano e Rovigo, dove le eccellenze in ambito sanitario non mancano e ben si contestualizzano in un assetto in profondo mutamento. «Nella ricerca di servizi sperimentali tramite nuove reti sanitarie, in primis, dove – suggerisce il dirigente – la creazione di percorsi e ospedalizzazioni domiciliari rivolte a pazienti cronici e il teleconsulto specialistico al medico di medicina generale vengono tutti, ugualmente, supportati da strumenti di telemedicina».

In cerca di linguaggi aperti e condivisi
Logicamente a patto che si sviluppi, non solo a livello regionale, un modello gestionale a domicilio da mettere a sistema, «a livello programmatorio, organizzativo e culturale», perché sia replicabile e univoco.

Ne è convinto, tra gli altri, Paolo Spriano, medico generale, prima ancora che segretario nazionale Snamid, per il quale: «Sono sotto gli occhi di tutti i profondi mutamenti che, insieme alla riforma del sistema sanitario, la medicina di gruppo sta apportando nella medicina generale, da sempre ospedalocentrica e a cui fanno prevalentemente riferimento i costi della sanità».

Ovvio, allora, per il rappresentante della Società Scientifica di Medicina Generale, che «investire sulle cure primarie diventa fondamentale partendo, almeno nella Regione Lombardia, dalla constatazione della presenza di sistemi rivolti all’informatizzazione, come il Fascicolo Sanitario Elettronico, che già esistono ma di cui, spesso, permane una percezione estremamente limitata di ciò che con essi si può realizzare».

Drg territoriali per un costo condiviso

Ancora una volta, «a fronte della bontà di una serie di sperimentazioni di cui nessuno mette in dubbio i benefici economici e sociali nei confronti dei pazienti – come ricorda Michele Barbaglio, direttore generale Asl di Bergamo, quel che manca è una chiara identificazione economica di quelle che, a tutti gli effetti, si qualificano come prestazioni ambulatoriali a distanza».

Le stesse che, per Spriano, «non si traducono in un Drg ospedaliero ma andrebbero configurate in un sistema di classificazione che si basa su raggruppamenti omogenei di diagnosi territoriale in cui l’ospedale condivide con il territorio il costo per una determinata operazione, a prescindere che sia realizzata all’interno della struttura ospedaliera o meno».

Team multidisciplinari in rete
L’idea è, dunque, quella di creare, a livello locale, un team multidisciplinare che discute e condivide con il sistema quale sarà il Drg territoriale per quello specifico paziente.

Lavorare in team multidisciplinari diventa, allora, la nuova sfida che, in un sistema di rete, si traduce nella necessaria interoperabilità dei sistemi operativi, che devono avere un linguaggio univoco anche attraverso l’utilizzo di strumenti gestionali all’interno di documenti per la programmazione assistenziale condivisa sulla rete e potenzialmente in grado di coinvolgere il cittadino in ottica funzionale per la cura del paziente cronico a distanza.

Quel che, di fatto, avverrà agli inizi di aprile in cinque province lombarde di cui, con circa 200 medici di medicina generale già arruolati su base volontaria, l’Asl di Bergamo risulta quella in cui si è verificata l’adesione maggiore alla sperimentazione sui CreG, «vale a dire – spiega Barbaglio –, Chronic related group messi a punto per pazienti cardiopatici, diabetici, ipertesi, scompensati cronici e affetti da malattie neuromuscolari con l’obiettivo di assicurare la continuità del percorso assistenziale».

Ancora forte la visione ospedalocentrica

Ciò detto, a fronte di evidenti benefici attesi, quel che manca da parte del personale ospedaliero, «è il rapporto con il territorio, sul quale occorre ancora lavorare». Cosa che, dalle parti di Varese, hanno già pensato di fare promuovendo, dopo un’offerta rimodulata da anni di sperimentazione, una proposta di cura a distanza per centinaia di pazienti affetti da Bpco, una malattia polmonare progressiva, non completamente reversibile.

«A fronte di tariffe stabilite, e che non sono a carico dei pazienti, oltre a non doversi più recare presso la struttura ospedaliera, l’ulteriore plus offerto dalla tecnologia – spiega Walter Bergamaschi, direttore generale dell’Ospedale di Vareseè potersi confrontare con altri pazienti affetti dalla medesima patologia».

Un percorso che la struttura lombarda ha potuto realizzare grazie alla definizione di una serie di attività alle quali, all’interno delle nuove reti sanitarie, corrispondono altrettante tariffe semestrali a conferma che «la telemedicina è solo lo strumento abilitatore mentre le barriere da superare sono quelle che vedono contrapporsi il concetto di medicina basato su costo/prestazione a percorsi formativi basati sulla capacità o meno di saper erogare quella stessa prestazione».

Nuovi scenari organizzativi per un nuovo modello assistenziale

Diverso è il punto di vista di Federica Fenzi, dirigente medico Ulss Rovigo, per la quale «l’applicazione di soluzioni e di tecnologie Web-based, le potenzialità di Internet e quant’altro non sono in discussione, a patto che si ammetta che è il modello assistenziale a essere cambiato».

Non più o non solo una medicina “di attesa” dove il medico prescrive, il paziente effettua la prestazione e il referto prodotto viene consegnato al medico per la valutazione, «ma tempi di latenza che la telemedicina annulla e che non comportano solo una riduzione, anche economica, negli spostamenti richiesti al paziente ma si traducono in una valutazione immediata di una situazione critica e che apre a scenari organizzativi di cui occorre tener conto» è l’ulteriore monito.

In termini di privacy, in primis, ma anche di gestione sicura dei dati «domandandosi, per prima cosa, chi ne detiene la titolarità all’interno di un sistema di telemedicina». Ancora una volta, «nell’ambito di un processo assistenziale – afferma Fenzi – non si può cambiare la titolarità di un dato, ma si può essere contitolari, per esempio, con il produttore di pacemaker, a patto che le linee guida siano per entrambi chiare e condivise per un utilizzo finalizzato ad analisi, prevenzione e cura del paziente».

Ciò detto, nell’annoso problema tra l’integrazione degli strumenti utilizzati nella telemedicina e i sistemi informativi nazionali, «se è vero che le verticalizzazioni sono utili e necessarie per le peculiarità delle patologie assistite, è altrettanto vero che occorre ragionare in un contesto sanitario più ampio».
Quello da compiere è, a tutti gli effetti, un passo passo ulteriore «perché le applicazioni in uso diventino standard».

Senza dimenticare, è l’ulteriore precisazione, che «le esperienze di telemedicina più riuscite – per il referente dell’ospedale di Varese – non sono quelle in cui la banda larga funziona alla perfezione ma quelle in cui i pazienti sono stati seguiti da piccoli nuclei operativi che conoscevano la storia clinica e personale di chi avevano davanti al proprio schermo».

Peccato che nel Polesine in generale, i problemi tecnologici abbiano tutt’altro peso, laddove è richiesto il collegamento in rete a medici di base il cui studio si trova in zone non particolarmente servite. Così, se per la referente dell’Ulss Rovigo, «laddove la telemedicina funziona è l’ottimale anche nel rapporto diretto con le farmacie, la diffusione capillare su tutto il territorio è ancora un ostacolo oggettivo».

La pensa così anche Gianluca Polvani, responsabile telemedicina cardiovascolare al Monzino di Milano, per il quale «dopo dieci anni di telemedicina rimangono punti ancora irrisolti e che sottendono la mancata partecipazione al progetto di tutti i soggetti che compongono la rete sanitaria».
Il tutto nonostante la centrale operativa Iso 9001, attiva 24 ore su 24, abbia permesso alla struttura ospedaliera di ridurre dell’80% l’accesso al pronto soccorso e di un ulteriore 30% la durata di ospedalizzazione con «risultati considerabili sovrapponibili ma diversi perché il contatto continuativo permette un riscontro immediato in caso di alterazione dello stato clinico all’insorgere di complicanze».

A chi fosse in cerca di ulteriori conferme, la referente dell’Ospedale Niguarda, Antonella Moreo, ricorda come il progetto per ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari frutto della partnership tecnologica con Cisco Italia, abbia portato alla realizzazione di centinaia di valutazioni da remoto dei dipendenti della multinazionale statunitense che, dalla sede di Vimercate, hanno permesso di portare in evidenza un 10% di casi di ipertensione non nota, un 15% di glicemia fuori norma e un ulteriore 10% di casi in cui si è verificata una alterazione del quadro lipidico.

«Il tutto – ricorda Moreo – mettendo a punto (presto anche presso le sedi di Cisco Italia a Monza e Roma – ndr), una postazione fisica al cui interno si trova un elettrocardiogramma, il materiale per effettuare prelievo del sangue, rilevazione della pressione arteriosa, visita cardiologica con possibilità di raccogliere informazioni dal paziente stesso a opera di un’infermiera, per tempi di allontanamento dalla propria postazione lavoro nell’ordine dei 25 minuti».

Gli ostacoli da affrontare
Ancora una volta, per passare dalla cura” al “prendersi cura”, vanno stabiliti modelli applicativi e priorità di intervento delimitando non tanto l’ambito, che resta quello delle patologie croniche, quanto i percorsi che devono permettere una visione clinica completamente diversa da quella classica.

Ma non solo.
Affinché tutto il buono della tecnologia diventi realtà, i sistemi devono poter dialogare tra loro, a prescindere che il paziente si trovi in Lazio o in Lombardia.
Per questo, il fascicolo sanitario in cui sono evidenziati tutti i dati del paziente andrebbe gestito con criteri condivisibili mentre, al lato pratico, occorre anche trovare nuovi strumenti per monitorare da casa il paziente che vive da solo.

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