Oracle, il reporting finanziario è un processo da unificare

Uno studio con Accenture evidenzia le criticità, come il fatto che il 60% dei responsabili finanziari non conosce il costo delle operazioni. Claudio Bastia ci offre una chiave di lettura.

Una ricerca a livello mondiale di Dynamic Markets su 1.123 manager in 12 paesi, fra cui il nostro, condotta per conto di Oracle e Accenture, rivela come molte imprese hanno fatto investimenti nei sistemi di reporting finanziario per migliorare i processi di chiusura, reporting e filing.
Ma anche che si è trattato di iniziative limitate, spesso inefficaci nel dare la necessaria visibilità, qualità dei dati e fiducia nei propri dati finanziari.

I dati in sintesi
Le aziende riconoscono la necessità di investire in nuovi sistemi di reporting finanziario: l’82% (in Italia l’80%) degli intervistati ha effettuato negli ultimi tre anni cambiamenti nei processi di chiusura, reporting e filing.
Il 47% (in Italia il 48%) ha investito in modo significativo negli ultimi 12 mesi in almeno uno dei tre processi della gestione finanziaria.

Ma il 12% delle aziende ha investito in una fase sola del reporting finanziario fra chiusura, reporting e filing (Italia: 17%); il 10% ha investito in due fasi (Italia: 9%) e il 25% in tutte e tre (Italia: 22%).
Comunque, spreadsheet per il 72% (55% in Italia) ed email per il 68% (62% in Italia) sono impiegati dai team finanziari per seguire e gestire i progressi quotidiani delle tre fasi.

Costi: il 21% (Italia: 24%) dei team di finanza ha visto crescere i costi sostenuti in relazione ai processi di chiusura, reporting e filing negli ultimi tre anni.
Insomma, i manager della funzione Finanza non sono in grado di comprendere esattamente quali siano i costi connessi alla gestione e alla comunicazione dei risultati finanziari aziendali, con il 60% dei rispondenti che ignora quali siano i costi totali associati a tali attività.

Ne deriva che il 71% (Italia: 80%) degli interpellati ritiene che la propria efficacia risulti limitata da problemi legati all’analisi dei dati.

Il processo va spiegato
Per il Country Leader Oracle Applications italiano, Claudio Bastia va chiarita innanzitutto la differenza che esiste fra il report, ossia il risultato e il processo di reporting, che sta a monte e parte dalle fasi della ricerca del dato, passa per le operazioni di trasformazione e produce visibilità e conoscenza.
«Quando si investe in un sistema di reporting integrato – dice –  con quattro click si arriva sino alla fattura che ha generato il dato contabile. Una cosa che dieci anni fa era un miraggio, ma che oggi è realtà. Il che non vuol dire che tutti vi abbiano investito, anzi».

Si tratta, insomma di automatizzare tutti i processi di generazione del dato finanziario, ma è una cosa che richierde tempo.
Avere un sistema di Business intelligence aiuta?
«Naturalmente si – dice Bastia – ma quando parliamo di reporting finanziario non è condizione sufficiente. Il report viene dalla Bi, ma questa non è il sistema di processo. Questo utilizza la Bi come strumento, ma ha di suo un cuore di pura intelligence, che fa il processo».

C’è una differenza sostanziale, quindi, fra i tool di Business intelligence e un sistema di reportistica finanziario integrato, che fa il paio con la differenza fra operazioni consuntive e previsionali.
A consuntivo, spiega Bastia, il sistema di reporting trova il dato dove esiste, con la tracciatura, determinandone la fonte. Nel previsionale, dove si fanno varianze fra budget e actual, la differenza sostanziale è l’algoritmo del processo.

Gli utenti di questi sistemi, come i Cfo, hanno chiara la situazione?
«Si, ma utenti sono anche funzioni di business, come la pianificazione e controllo. Nel renderla chiara è centrale il ruolo del Cio, che sta diventando sempre più importante nel far capire le relazioni tecniche che ne stanno alla base».

Ma allora quel 60% di ignari sui costi delle operazioni come si motiva?
«C’è una responsabilità diretta nel non conoscere i costi, perché non si hanno gli strumenti per quantificarli. Almeno fino a quando qualcuno non mostra la valenza del processo di reporting sotto i profili dell’efficacia e dell’efficienza».

In questo scenario qual è la proposta Oracle?
«Per trovare la soluzione – spiega Bastia – bisogna aver chiaro il problema, che è dato dagli snodi del processo di reporting. Va perimetrato il confine della tematica. Poi la soluzione è quella integrata, che dia un risultato finale con garanzie di copertura di tutte le fasi del processo, normative e fattuali. Ripeto, cinque anni fa era fantasia, ora è realtà. Chi produce bilanci in altro modo, di fatto, si accontenta».

E quanti sono quelli che si accontentano?
«Non pochi, purtroppo – dice Bastia -. Molte aziende sono indietro. Alcune volano in avanti. Recentemente, per esempio il nuovo vertice di una banca italiana, dopo l’insediamento ha richiesto un cruscotto per se stesso».

Se ne trae l’idea che si ha a che fare con progetti lunghi
«Relativamente. Il quadro di integrazione più complesso è quello che associa alla governance le problematiche previsionali e gestionali. In media si integra un sistema di reporting finanziario in un semestre.Aziende più complesse ci possono mettere un anno. Ma poi hanno tutto integrato: consuntivi, previsioni, internazionale, normativo, dati storici. Per il solo bilancio civilistico bastano quattro settimane».

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