Una scelta virtuosa, frutto della radicale volontà di fare business di un’azienda, che consente di fare rete e creare business. Lo spiega Gennaro Panagia di Ibm.

Pare proprio che il cloud sia destinato a fare sempre notizia.

In tal senso non sfugge alla regola delle 5 W (who, what, when, where e why).

E posto che what e where, nel caso specifico, sono condensate nel concetto stesso del cloud, Gennaro Panagia, Cloud managed services leader di Ibm, giustamente si concentra sulle restanti tre W.

Il perché usare servizi cloud è frutto della radicale volontà di fare business di un’azienda: che sia una nuova iniziativa, che sia un modo più agile, a meno assorbimento di Capex, di condurne una già in essere.

Chi deve fruirne: tutte le aziende che hanno, appunto, questo animus e anche quelle (i cloud provider) che creano servizi cloud nel cloud e li forniscono ad altri.
Quando: adesso, che esiste un sistema di prezzi, infrastruttura, sicurezza irrinunciabile.

E a chi, come noi, avanza il dubbio che il cloud possa essenzialmente voler dire un modo diverso di fare la gestione It da soli, Panagia lo fuga. Dipende: esistono servizi unmanaged, gli Ibm Smart Cloud Enterprise, che fra self provisioning e scelta delle risorse, offrono notevoli gradi di libertà. Ma il cloud è anche managed, dal fornitore del servizio, nel nome dell’affidabilità e della sicurezza.

E, ancora, se per molti cloud è sinonimo di azzeramento della complessità, la visuale di Panagia è illuminante: semmai è mascheramento. La semplificazione dei processi arriva sul tavolo dell’utente come un dato di fatto.
Ma dietro c’è un lavoro enorme e continuo, da parte di Ibm, teso a rendere più semplice la fruizione dei servizi.

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