Ibm: il bizmodel cambia con il cloud

Il modello di Ict a consumo non riguarda solo l’organizzazione, ma può essere esteso all’intero ecosistema e anche ad identificare nuovi flussi di revenues. Può perfino rivoluzionare la value chain.

Il cloud è ampiamente riconosciuto come game changer, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. Ciò non ostante, il suo potenziale disruptive per l’innovazione dell’attività è ancora virtualmente intoccato. Su questo argomento, Berman, Kesterson-Townes, Marshall e Srivathsa hanno compilato per Ibm un eccellente white paper dal titolo The power of cloud. Più illuminante è il sottotitolo: Driving business model innovation.
Sebbene il cloud sia oggi mainstream nell’Ict, le sue promesse si estendono ben oltre l’ambito tecnologico: il cloud infatti apre le porte ad un’attività più efficiente, agile e innovativa, che rende semplice l’ottimizzazione delle attività o l’identificazione di nuovi mercati.
Attraverso un’analisi dell’attività, gli autori del white paper identificano possibilità e modalità con cui il cloud può ottimizzare o riscrivere il business, rispondendo a spinte attuali quali l’acquisizione di nuovi clienti sulla base di dati precisi o la ridefinizione del posizionamento competitivo.


Ottimizzare, innovare o discontinuare?

Visti nell’ottica di oggi, è possibile identificare tre archetipi di business: optimizers, innovators e disruptors, con una percentuale di rischio imprenditoriale crescente dal primo al terzo. Gli ottimizzatori usano il cloud per migliorare incrementalmente l’efficienza interna e il valore al cliente; gli innovatori trovano nuovi flussi di entrate, o modificano il proprio ruolo nell’ecosistema. Più complessa è l’attività dei discontinuatori, che usano il cloud con particolare inventiva. Se restano all’interno della catena del valore classica, creano proposte completamente nuove o identificano richieste degli utenti finora inascoltate; possono però anche realizzare catene di creazione del valore completamente nuove.
E’ importante notare che le tre categorie proposte identificano una valutazione di posizione, non altro. In particolare non sono un modello di maturità: suggeriscono un percorso che parta dall’ottimizzazione, richieda un’esperienza d’innovazione per avere come unico obiettivo una immaginifica riformulazione dell’attività. Si può essere ottimizzatori per tutta la vita, o anche essere innovatori prima e ottimizzatori dopo. Ma la valutazione dev’essere precisa, perché da essa discendono ruoli e responsabilità necessari all’interno dell’azienda per guidare il processo.


Cartografia del bizmodel innovativo

Già questa visione è piuttosto interessante. Ma c’è di più: posizionando le tre categorie in un sistema a due assi, è possibile visualizzare una cartografia dell’innovazione.
I due assi sono relativi alla catena del valore e al valore verso l’utente. In verticale troviamo le fasi della catena del valore, che passa da miglioramento (improve) a trasformazione, per giungere alla creazione; in orizzontale il valore proposto all’utente può essere aumentato, esteso o reinventato.
Va osservato che la disruption è sempre esistita e sempre esisterà. Oggi però la strutturazione proposta dal cloud ne identifica alcune possibili strade, le rende verificabili con test semplici da implementare e in caso di successo è altrettanto semplice farle scalare dai pochi utenti del test al più ampio pubblico.
Spesso l’analisi dei discontinuatori è così precisa da offrire agli utenti beni o servizi che essi stessi ancora non avevano identificato correttamente. Certo si deve prendere un forte rischio, ma in caso di successo si incassa il premio dell’essere arrivati primi: un vantaggio che in generale porta a forti ricompense sul fatturato e sul brand.

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