Pregi, limiti, vantaggi e accorgimenti della datacenter automation, affrontati con Mauro Trione di Emc.
Con Mauro Trione, Regional Sales Director for Italy, France and Germany di Emc Ionix parliamo di automazione del datacenter, individuando temi come lo storage, il recupero delle informazioni e anche il ritorno sull’investimento. E iniziando proprio a individuare i soggetti destinatari della pratica.
Chi deve attuare l’automazione del datacenter?
Quelle realtà dove è necessario avere la disponibilità di un’infrastruttura dinamica in grado di gestire in modo efficiente e automatico le risorse elaborative, in allineamento con le crescenti richieste da parte del business. Immaginare di gestire la complessità operativa dei nuovi ambienti virtualizzati senza una vera automazione dei processi e delle operation vuol dire risolvere il problema solo dal punto di vista fisico attraverso operazioni di consolidamento, e non operativo, la chiave invece nella ricerca di dinamicità e del controllo dei costi, con livelli di servizio adeguati.
Ma interessa anche quelle realtà meno complesse dove sono importanti la riduzione dei costi operativi, l’incremento del service deployment, la compliance operativa, la riduzione dei downtime causati dai cambi di configurazione. Per gli utenti più sofisticati, la datacenter automation è il primo step necessario per implementare schemi di It self service.
Con quali strumenti già a disposizione si può fare l’automazione. E con quali nuovi strumenti?
Molte aziende hanno da tempo iniziato questo processo, in molti casi partendo da point solution ognuna legata al raggiungimento dei risultati richiesti dagli ambienti It interessati: infrastructure engineering ed operations, application infrastructure e application development, security, service support e dalla risposta alle esigenze del business. Spesso i risultati raggiunti però sono legati alla capacità dei fornitori di provvedere all’integrazione tra queste point solution, con difficoltà elevate legate ai costi di integrazione ed alla configurazione a isola dei vari ambienti interessati. Le novità sono legate alla possibilità di avere strumenti di data center automation integrati tra loro, strutturali e built-in nel datacenter stesso. Tutta la suite Ionix ne è un esempio e, come massima espressione in direzione del cloud, l’offerta V-Block ed Uim integrati.
Esiste un lato storage della faccenda che non è ancora stato bene esplorato?
Ossia, il cloud garantisce, e come, l’availability delle informazioni?
La necessaria dinamicità dello storage per seguire il movimento delle applicazioni e dei dati sulle macchine virtuali è un componente fondamentale per il raggiungimento della piena mobilità delle applicazione. Emc con la tecnologia V-Plex risponde a queste esigenze in modo assolutamente esclusivo.
In tal senso i tempi di risposta del retrieval sono o non sono un problema?
Sì se non si usano soluzioni come V-Plex, in quanto avvicina il dato alla applicazione, dovunque essa sia, in modo dinamico e trasparente.
C’è un mix ideale di cloud privato e pubblico proponibile alle aziende e
sostenibile dalle aziende?
Non c’è una ricetta precisa che vale per tutte le realtà. Noi infatti parliamo di private cloud, ovvero di un insieme di risorse che possono essere indifferentemente interne ed esterne all’azienda, ma che sono sempre a disposizione e possono essere attivate in tempi brevissimi qualora se ne verifichi la necessità. Questo per le aziende vuol dire vantaggi enormi, economici ed organizzativi, indipendentemente da dove fisicamente risiedano le risorse dedicate ai singoli servizi.
Non è più tempo di budget It. Ma almeno è tempo di Roi del cloud? Se sì, con quali metriche?
Un cosiddetto full-blown Tco, che includa i costi di gestione delle Operation, i costi delle tecnologie, i costi di valutazione ed integrazione, ed in maniera più soft, il time-to-market e quindi in generale la capacità del business di rispondere al mercato in tempi sempre più rapidi proprio in funzione della flessibilità ottenuta nel nuovo datacenter.
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