Software gestionale in Italia, un futuro a rischio?

Potrebbe scomparire il “Made in Italy” gestionale. L’allarme viene da Fabio Massimo coordinatore nazionale settore Ict dell’Unione Comunicazione e Terziario Avanzato. E voi cosa ne pensate?

Dicembre 2007

Negli ultimi tre decenni, con il crollo dei costi d’accesso alle tecnologie informatiche e in particolare con l’avvento degli elaboratori personali, si è assistito al progressivo processo di informatizzazione delle aziende e dei professionisti. L’informatizzazione ha coinvolto le attività di manipolazione della comunicazione scritta: lettere, fax, grafici, immagini, messaggistica (tipicamente il settore Office) e le attività di gestione delle informazioni amministrative, commerciali e relative alla produzione, quindi: ordini clienti fornitori, fatturazione, contabilità, magazzini, controllo della produzione, controllo industriale oggi inteso come Erp.

In quest’ultimo comparto e nel contesto italiano, in funzione di una propensione al legame con il territorio e della realtà della micro imprenditoria, tipico della nostra economia, si sono sviluppate, negli anni Ottanta e Novanta, un numero molto elevato di soluzioni con livelli di prodotto e di penetrazione nel mercato molto differenti.

Raggiunto il massimo sviluppo con l’anno Duemila e l’introduzione dell’euro, la crisi dell’economia nazionale e la concomitante crisi mondiale succeduta all’11 settembre hanno consegnato al settore una profonda crisi. Le dimensioni del comparto sono ben delineate dal rapporto di Sirmi sul mercato Digital technology italiano del 2007. In esso si parla di circa 41.500 aziende classificate come software house di cui 35mila come micro software house. Lo studio di settore dell’Agenzia delle entrate (Ug66U) relativo al settore It, pur seguendo un differente criterio di classificazione, calcola in circa 15.500 le aziende definite come software house.

Dimensionalmente, solo una ventina superano i 150 dipendenti, hanno una distribuzione capillare sul territorio nazionale e, salvo qualche eccezione limitata, nessuna software house italiana commercializza i propri prodotti gestionali fuori dai confini nazionali.
Il quadro che emerge delinea, quindi, una situazione molto frammentata e con forti elementi di criticità. La lieve ripresa dell’economia tra il 2006 e il 2007, associata alla naturale evoluzione tecnologica della strumentazione informatica e alla necessità di ristrutturazione dei comparti produttivi per poter sopravvivere e competere in contesti mondiali sempre più globalizzati, potrebbero far prevedere una ripresa anche nel comparto del software gestionale, ma all’orizzonte appaiono nuovi e profondi cambiamenti.

Nel corso dell’anno, due grandi gruppi nazionali, Almaviva e Bernabè Group, hanno annunciato nuove offerte di prodotti gestionali nell’ambito di alleanze strategiche con Microsoft e Telecom Italia basate sulla visione del software gestionale come servizio erogabile a consumo, similmente alla telefonia o all’energia elettrica; un utente collocato ovunque a qualunque ora può, quindi, connettersi via Internet al proprio fornitore software e, con un protocollo criptato e sicuro, utilizzare la funzione d’interesse, accedere all’help desk per l’assistenza e pagare solo il consumo di tempo e di spazio dei dati utilizzati.
Questo paradigma, logicamente simile all’utilizzo di un elaboratore centrale con terminali “stupidi” come agli albori dell’informatica, ha il pregio di non richiedere alcun investimento preventivo e infrastrutturale da parte dell’utilizzatore e di banalizzare, tendenzialmente, i costi dell’investimento del singolo operatore.

Entrambe le società hanno giustificato la scelta del paradigma di fornitura con il fatto che l’accesso a banda larga a Internet è ormai un’infrastruttura esistente, usufruibile e culturalmente acquisita come l’energia elettrica o l’automobile. Entrambe le società hanno giustificato, inoltre, la scelta di prodotti gestionali Microsoft con la necessità di poter offrire al mercato interno dei prodotti a livello internazionale, standard, disponibili in tutte le lingue e globalmente supportati, aggiungendo che, dalle analisi svolte, non esisterebbe alcun produttore nazionale in grado di sostenere gli investimenti necessari per raggiungere gli standard qualitativi ed evolutivi presenti ormai sul mercato mondiale.
In parallelo, si assiste al fenomeno di downsizing dell’offerta da parte delle grandi software house multinazionali proprietarie dei principali prodotti Erp, nella convinzione che anche le aziende italiane, se vogliono sopravvivere, debbano utilizzare gli standard di prodotto mondiali e che, quindi, ci sia un grande mercato potenziale.

È convinzione comune dei grandi player che le astruse particolarità della legislazione fiscale italiana, che hanno sempre costituito una forte barriera d’ingresso agli operatori esteri, in un contesto di globalizzazione economica, Unità europea e conseguente tendenza all’armonizzazione normativa, costituiscano un elemento progressivamente sempre meno importante.
E le aziende italiane? Delle poche decine di aziende di piccola-media dimensione, alcune sono state acquistate da gruppi stranieri e si muovono in una logica economica di ottimizzazione tattica dell’investimento, altre dispongono di prodotti disomogenei, sviluppati in un ampio lasso di tempo con strumenti e tecnologie disparate, in parte recenti e in parte datate e dovrebbero trovare le risorse finanziarie e le convenienze di mercato per armonizzare e mantenere al passo con la tecnologia i prodotti. Ma la scarsa dimensione del mercato interno e la scarsità delle disponibilità finanziarie pongono seri dubbi sulle loro reali capacità d’investimento. Solo alcune realtà appoggiate a multinazionali estere come Ibm e Sun e con un’ampia e strutturata realtà commerciale nel territorio sembrano disporre delle risorse necessarie.

Le molte migliaia di software house con una presenza solo locale sul territorio e con applicazioni parziali o progressivamente sempre più obsolete, si vedono strette sempre più dalla morsa dei grandi competitor internazionali, dalla scarsa capacità d’investimento della propria clientela e dalla spinta al cambiamento tecnologico, a volte reale, altre volte imposta come puro strumento di marketing.
La Pubblica amministrazione, che in altri Paesi occidentali ha fatto da traino all’industria nazionale del software, ha, sin dagli anni Ottanta, scelto la strada della creazione di aziende di diritto privato, ma di proprietà pubblica che hanno intercettato tutte le esigenze di sviluppo e gli investimenti degli enti, creando situazioni in cui, spesso, l’erogatore delle risorse finanziarie era anche il controllore dell’azienda beneficiaria della commessa, ostacolando di fatto la creazione e la crescita di aziende e di competenze sul libero mercato. Le recenti azioni di liberalizzazione in una situazione di debolezza economica, nella quale le risorse finanziarie risiedono essenzialmente nelle mani del mondo della Finanza e delle Assicurazioni, rischiano di far nascere una situazione di oligopolio in cui controllo e proprietà delle aziende non sono neppure completamente intellegibili.

In tutti i casi, la Pa non sembra essere in grado di costituire un riferimento e un supporto all’industria nazionale del software.
In sintesi, la dimensione ridotta del mercato domestico, l’estrema frammentazione dell’offerta, i cambiamenti delle logiche e la globalizzazione dei mercati, l’egoismo o disinteresse della Pa, la forte pressione delle multinazionali del settore delineano un contesto negativo nel quale potrebbe prendere corpo la sostanziale scomparsa dell’industria nazionale del software gestionale.

Un discorso a parte richiede il modello di business legato all’open source.
La grande disponibilità di ottime competenze tecniche informatiche e gestionali, l’ingegnosità e creatività tipiche del contesto culturale italiano, la copertura nazionale delle risorse interconnettibili da una banda larga ormai disponibile, sono tutti elementi che potrebbero sostenere il decollo di progetti nazionali con standard e qualità internazionale, ma volti alla creazione di prodotti adatti alle dimensioni e problematiche specifiche dei nostri mercati.
Tuttavia la scarsa attitudine culturale alla collaborazione in gruppi ampi e la mancanza di venture capital sul mercato domestico sono elementi altrettanto negativi.

Al momento, infatti, non sembrano emergere progetti comparabili a quelli che nascono negli altri Paesi europei. Per il settore del software gestionale italiano si prospetta una stagione di cambiamento e ristrutturazione che può comportare la sua drastica trasformazione, la sua sparizione più o meno ampia o la migrazione verso modelli e paradigmi di business differenti dagli attuali.
Il mondo dei professionisti e il mondo aziendale italiano non rimarranno estranei, ma saranno coinvolti, volenti o nolenti, in questa mutazione.

Il software gestionale è una componente essenziale del sistema nervoso delle aziende e degli uffici come, più in generale, il software è sempre più una parte intrinseca dei prodotti e dei servizi. Pertanto, l’eventuale sparizione o il condizionamento dell’industria nazionale del software gestionale sarebbe una limitazione grave per il Sistema Italia.
Sarebbe importante e auspicabile che le forze politiche, sociali ed economiche considerassero la produzione del software come un elemento strategico del futuro dell’economia nazionale e creassero le condizioni culturali ed economiche per un suo forte e autonomo sviluppo nel contesto internazionale.

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