Le dinamiche evolutive dell’outsourcing

Con un analista e tre player facciamo luce su tendenze di mercato e modalità di accesso a un tipo di servizio ancora guardato con sospetto.

Possibilità di concentrarsi unicamente sul proprio core business, incremento dell’efficienza e taglio dei costi di gestione della propria infrastruttura It, innovazione tecnologica, scalabilità e aumento della flessibilità. Questi, in buona sostanza, sono i vantaggi che il paradigma dell’outsourcing offre e promette alle aziende.


Ma allora perché questo mercato fatica così tanto ad affermarsi?


È opinione comune che alla base del lento incedere che caratterizza la crescita di questo fenomeno ci sia una generale diffidenza delle aziende nel mettersi nelle mani di un provider esterno. Diffidenza che, nella maggior parte dei casi, trova radici nella paura di perdere il controllo dell’infrastruttura e dei processi, e nel timore che il legame contrattuale con l’outsourcer possa rivelarsi una sorta di gabbia dalla quale risulterebbe poi difficile uscire.


Nella realtà questi timori hanno veramente ragion d’essere?


Quello dell’esternalizzazione è senza dubbio un argomento complesso, ricco di sfumature e di declinazioni differenti a seconda del mercato cui è indirizzato, e che difficilmente quindi può essere affrontato con successo in maniera generalizzata.


L’obiettivo che Linea Edp si pone con questa inchiesta è di dare alle aziende un quadro chiaro del mercato dell’outsourcing, fornendo il punto di vista di una società di analisi e consulenza come Sirmi e di tre importanti player del mercato: Ibm, Accenture e Atos Origin, riguardo le tendenze in atto, le diverse modalità di accesso a questo tipo di servizi e ad aspetti decisamente importanti come quelli contrattualistici. Seguirà una seconda puntata dell’inchiesta, che, invece, sarà incentrata sul racconto delle esperienze di outsourcing portate a termine da alcune importanti aziende italiane, per offrire concrete testimonianze a tutte quelle realtà che oggi, pur interessate all’esternalizzazione, guardano a questi servizi ancora con diffidenza.

Trasformazione dell’offerta


Secondo Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi, il concetto di outsourcing nel corso del tempo ha subìto una trasformazione. Da trasferimento a un gestore esterno con competenze specialistiche di asset e attività non core, che spesso l’azienda si trovava a gestire con difficoltà, l’outsourcing è infatti mutato sempre di più in una ricerca di vantaggio competitivo dal mero punto di vista economico, vantaggio che, secondo Cuzari, anche quando è stato riscontrato non ha generato una sempre chiara accettazione dei risultati da parte dei clienti.


«Si tratta di un discorso molto generalizzato – ha spiegato l’analista -. In realtà ci sono clienti di servizi di outsourcing assolutamente contenti e soddisfatti del servizio che viene loro prestato, accanto, invece, ad aziende che si sentono ingessate in processi che trovano più complessi e più articolati, e che non sempre sembrano portare il valore aggiunto che si aspettavano dall’outsourcer». Per l’amministratore delegato di Sirmi, quando si parla di mercato dell’outsourcing va innanzitutto fatta una distinzione importante fra esternalizzazioni di tipo tecnologico/infrastrutturale (hardware e software di base, software di ambiente, postazioni di lavoro e servizi di primo livello come gestione delle mail e della sicurezza) e outsourcing di carattere applicativo. Per quanto riguarda l’aspetto infrastrutturale, infatti, fasi come quelle dell’individuazione degli obiettivi e dei livelli di servizio attesi dal cliente e della definizione delle regole contrattuali sono abbastanza agevoli.


Non si può certo dire lo stesso, invece, per ciò che concerne l’outsourcing delle applicazioni, per il quale, infatti, in larga parte a causa della grande rapidità con cui le aziende oggi cambiano, la definizione di questi capisaldi risulta molto più complicata. Un esempio per tutti può essere quello del mondo bancario, che si muove su applicazioni molto particolari, sviluppate per le specifiche esigenze dell’azienda, e che quindi risulta cosa non di poco conto trasferire a terzi.


Dello stesso avviso è anche Roberto Carrozzino, managed operations director di Atos Origin, il quale ha sottolineato il fatto che se l’Italia riscontra un ritardo rispetto alle medie europee per quanto riguarda i contratti di outsourcing in generale, questo gap si accentua se si considera la sola penetrazione dell’esternalizzazione degli ambienti applicativi.


«L’outsourcing applicativo funziona quando è progettato come componente evolutiva del sistema informativo – ha puntualizzato Cuzari – perché in questo caso ci sono degli obiettivi chiari e tendenzialmente condivisibili con il fornitore».


Nell’ottica di una mera riduzione dei costi, invece, il raggiungimento di qualsiasi tipo di vantaggio diventa, praticamente, quasi impossibile.


Anche per Alessandro Marin, Partner reponsabile del mercato Bpo per l’area Products di Accenture, la leva del costo è ancora il fattore numero uno con cui le aziende italiane si confrontano nel valutare l’opzione outsourcing.


Eppure, anche se è un dato di fatto che la pressione sui costi rappresenta un elemento fondamentale, va sottolineato che un ragionamento di esternalizzazione unicamente indirizzato al cost saving è in grado di portare benefici solo nel breve periodo. Per sostenerli anche nel medio e lungo, serve una logica incentrata sulla generazione di valore.

Una crescita lenta e poco lineare


Secondo il Rapporto Assinform/NetConsulting nel primo semestre del 2005 all’interno del mercato servizi, valutato complessivamente in 4,678 miliardi di euro (in calo dello 0,5% sullo stesso periodo del 2004), la voce outsourcing e facility management è quella data in maggior crescita, +1,2%. Si tratta di un dato che, però, confrontato con il +2,1% realizzato nello stesso semestre del 2004, dimostra un andamento in leggera contrazione.


L’impressione, quindi, è che il mercato dell’outsourcing segua una lenta, ma progressiva crescita, a volte caratterizzata da una certa non linearità che secondo Maurizio Cuzar, può dipendere da diverse ragioni.


Una di queste è la presenza di player solidi e lungimiranti, con forti possibilità d’investimento, dotati di una capacità di cassa positiva immediata per poter prendere in carico gli asset dei propri clienti a fronte di un recupero delle marginalità nel corso del tempo.

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