Il software come leva per mettere a frutto il potenziale degli Ssd

Ziya Aral (nella foto), di DataCore Software spiega perché, quando si parla di tecnologia allo stato solido, i vantaggi dello storage definito dal software si toccano con mano.

Definito come un modo per separare, o astrarre, il livello hardware da quello software, per Ziya Aral, co-fondatore e presidente del CdA di DataCore Software, lo storage definito dal software porta con sé una serie di vantaggi.

Utilizzati in modo trasparente, esattamente come i dischi tradizionali, i dischi a stato solido, o Ssd, richiedono uno storage veloce.

Secondo Aral, infatti, è la velocità a rendere gli Ssd importanti, mentre lo storage rappresenta “la pecora nera” dell’informatica, in quanto elemento che rallenta l’esecuzione delle applicazioni.

Un elemento al quale, però, gli Ssd hanno saputo porre rimedio aumento la velocità dello storage in modo pratico ed economicamente abbordabile.
La cattiva notizia, sempre per il co-fondatore di DataCore, sarebbe, però, che i dischi allo stato solido sono tecnicamente più complicati di quelli tradizionali: se la lettura dei dati su Ssd è un’operazione estremamente veloce, la loro scrittura non lo è, infatti, altrettanto.

Come se non bastasse, si tratta di una tecnologia con una vita utile abbastanza breve, non particolarmente adatti a qualunque impiego e ancora troppo costosa per diventare il sistema di storage primario.


Da qui l’esigenza di lavorare in team con realtà concentrate sull’utilizzo degli Ssd in applicazioni specifiche, come i database, abbinandoli al software, tramite cui gestire le tecniche di caching, e alla tecnologia Dram.

Il risultato parla di una memoria che, contrariamente alle altre, ha il vantaggio di non porre limiti al numero di operazioni di scrittura.

Ecco, quindi, che l’importanza di avere uno storage definito dal software emerge con grande chiarezza. Il software, infatti, sempre secondo Aral, è la chiave per sfruttare al meglio la tecnologia Ssd, a patto di spostare gran parte dell’infrastruttura software per lo storage sui server e sulla rete ovviando i limiti fisici della trasmissione dei dati via cavo.

L’esigenza di spostare il software su macchine remote nasce dal tentativo di evitare, o di ridurre, le operazioni di scrittura sui dischi a stato solido. Per agevolare il loro compito, bisogna ragionare su un tempo di latenza molto lungo, e questo significa che i dati devono trovarsi contemporaneamente in almeno due luoghi diversi, e che quindi devono essere spostati via cavo.
I due estremi del ciclo – le operazioni di lettura dirette e quelle di scrittura asincrone – avvengono in due luoghi diversi e il software che permette di tenere insieme queste due fasi deve, quindi, trovarsi a entrambi i capi del cavo.

In pratica, bisogna essere in grado di scrivere i dati in remoto e di leggerli localmente, ovvero di dividere i dati e i relativi dispositivi. La comunicazione tra questi ultimi, posizionati in rete e localmente, deve avvenire utilizzando un bridge software. Per questo il software deve trovarsi in entrambe le postazioni.

Attraverso il software si risolve così il problema dei cicli di scrittura sui dischi allo stato solido. Ovviamente si tratta di software che deve stare sulle macchine che gestiscono l’infrastruttura, non sui sistemi di storage.
E tra i suoi compiti c’è anche quello di organizzare l’ambiente in modo che i dati provengano dalla Dram, che è molto più veloce degli Ssd.
In questo modo lo storage definito dal software permette di superare i limiti di una tecnologia che altrimenti sarebbe rimasta confinata a poche, specifiche applicazioni.

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