Caro contante, quanto mi costi?

Dal tavolo di confronto promosso da Wincor Nixdorf, il parere di banche e retailer per limitare costi, rendere sicuri flussi di denaro e incolumità delle persone.

L’allarme torna a lanciarlo l’istituto di ricerca Doxa ma, in Italia, lo scarso ricorso a bancomat, ricaricabili, carte di credito e di debito è cosa nota. Così, se è vero che nell’indagine commissionata da Wincor Nixdorf, 6 italiani su 10 non uscirebbero mai di casa senza denaro contante in tasca, è altrettanto vero che il peso della sua gestione andrebbe ridotto.

Volutamente tenuti a margine processi e tecnologie di cui è competente, la multinazionale tedesca ha chiamato a raccolta un nutrito parterre di interlocutori che, lato banking e retail, hanno diversamente espresso il proprio parere su una problematica, quella del “caro contante”, che interessa tutti ma che dà anche corpo a una serie di riflessioni.

La prima è di Tiziano Depaoli che, in qualità di responsabile finanziario di Carrefour Italia, ricorda come «limitare i costi e ottimizzare la gestione del contante siano due cose diverse». E, fatto salvo che, come da fotografia Doxa, la sua incidenza «nei nostri supermercati è senz’altro superiore al Sud, il costo per la sua gestione è decisamente meno oneroso della commissione richiesta dai circuiti elettronici».

Gli fa eco Emma Berardi, direttore amministrazione e controllo di Bennet, catena della distribuzione presente in oltre 60 centri commerciali in Nord Italia dove, se il volume dei pagamenti in contanti sfiora il 60%, le complicazioni da affrontare riguardano «salvaguardia del bene aziendale, efficienza degli impianti per gestirne il flusso, tempo e risorse dedicate».

Il tutto tenendo conto che «il tempo medio che intercorre tra l’incasso del corrispettivo e la disponibilità in banca con valuta garantita il giorno dell’incasso, è di circa 7 giorni». Ciò detto, per Berardi, le tecnologie a disposizione dovrebbero focalizzarsi sulla riduzione dei passaggi che intercorrono tra la cassa del supermercato e la validazione in banca.

Un problema che non lascia immune alcuna insegna della Grande distribuzione e che coinvolge anche gli istituti di vigilanza ai quali il contante è affidato. A spiegarlo è Laura Napoli, national security executive Italy, responsabile Gdo Unicredit Group, che sottolinea come «il trasportatore porta il contante presso il service, dove viene contato prima di essere accreditato in banca».

E proprio al momento della contazione dei valori sono possibili contestazioni «che si concretizzano – puntualizza Napoli – in verbali per differenza e per mancati flussi di versamenti». Si capisce allora la spiccata volontà di realizzare un servizio di contazione, e relativo addebito in banca, direttamente attraverso flussi informatici, «che fungano da stanze di compensazione».

D’altra parte, a guardare con interesse all’ottimizzazione del percorso che conduce il contante agli istituti di credito è anche Renato Del Vecchio, presidente Aico Uno, Gruppo Shell Italia, adducendo logici, quanto mai sentiti, problemi di sicurezza presso una rete di pompe di rifornimento in cui, circa il 70% del miliardo di litri di carburante erogato viene pagato cash.

In questo, anche i numeri snocciolati da Pietro Blengino, head of policy development security department Unicredit Group, parlano chiaro: «Solo nel 2009, in Italia – stando ai dati della Federazione bancaria europea -, si sono verificate circa 1.800 rapine in filiale. E anche se i dati Abi riferiti al primo semestre 2010 parlano di un decremento del 19%, rimangono comunque 800 rapine subite nei primi sei mesi dell’anno».

Consola, però, la constatazione, sempre a cura di Blengino, dei passi in avanti compiuti finora considerato che, nel 2006, il numero di rapine nel nostro Paese superava quota 3.000 e di come «la loro riduzione sia stata possibile investendo in tecnologie e sistemi di temporizzazione dell’erogazione del contante che disincentivano gli assalti “mordi e fuggi”».

Il ché non toglie che, «in termini di sicurezza fisica, parliamo di una ricaduta pari a 12 euro per conto corrente – puntualizza Blengino – mentre, sempre in Italia, ci dobbiamo confrontare con società di trasporto valori il cui disciplinare risale al 1930, quando in Turchia, qualche settimana fa, ho assistito a una transazione via smartphone per l’acquisto di un appartamento».

Così, se dal canto suo, il responsabile canali diretti Ubi Banca, Andrea Gorlato, sottolinea come il trend evidenziato da Doxa «viene da noi assecondato con Atm evoluti per i versamenti, in grado di rimettere in circolo il contante», sul crescente ricorso dei giovani al “plastic money” occorre rafforzare la gamma di carte di credito, «prepagate, revolving o contact less che siano», per venire incontro alle più disparate esigenze.

«Anche perché – puntualizza Gorlato – in un contesto come quello italiano, dove l’amore per il contate è accertato ma in cui la penetrazione degli smartphone supera, di gran lunga, quella degli altri Paesi nel mondo, occorre sperimentare, con approccio pragmatico, le tecnologie che sono in grado di portare reali benefici ai consumatori».

Voci fuori dal coro, a parere di chi scrive, i contributi del vice direttore generale Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane, Giovanni Damiani, dell’head of Pbc business development Deutsche Bank, Marzio Pividori e del direttore amministrativo di Agorà Network, Dario Nisoli, hanno aggiunto ulteriori spunti alla discussione.

Primo fra tutti, la constatazione che, ogni anno, per Damiani, il costo del contante pesa per ben «10 miliardi di euro sul Sistema Italia». A questo dato di fatto va aggiunto l’ulteriore elemento sociale legato al contante, «vale a dire l’evasione fiscale, contro la quale le banche sono chiamate a proporre agli utenti strumenti alternativi al pagamento cash».

Di per sé, l’assunto dal quale parte il vice direttore generale della banca che, in Italia, dà servizio alle altre banche, è che «la gestione del contante è una commodity e, come tale, andrebbe affidata a soggetti terzi, che di questo si occupano». Dal canto suo, Pividori sottolinea come, il Decreto legislativo di recepimento della Psd, o Payment Service Directive, garantisca un accesso più ampio e regolamentato in questo campo «anche per i protagonisti della Grande distribuzione».

Così facendo, anche quest’ultimi vedono aprirsi l’opportunità di diventare istituti di pagamento regolarizzati e agli occhi dei quali, Deutsche Bank, «si candida in qualità di partner di riferimento». Riferendosi a esempi di “supermarket banking” che all’estero sono già realtà, è ancora Pividori a citare esempi come le carte conto e l’offerta di assicurazioni online «che, proposte attraverso nuovi canali, arrivano ad abbattere anche del 5% i costi di commissione in agenzia».

In tal senso, è convinzione del referente di Deutsche Bank, «anche con l’avvento di nuovi attori sulla scena, gli istituti di credito non cesseranno di fare il proprio mestiere di advisory per gestire al meglio le finanze dei clienti. Per quanto concerne la Gdo, la recente normativa non lascia spazio a false partenze per nuovi entranti. Pertanto è auspicabile agire in partnership con Istituti di Credito, anche al fine di facilitare e ottimizzare il comportamento d’acquisto dei consumatori».

Ma non solo. Da “utente della strada” è ancora Damiani a sottolineare come, la mancanza di utilizzo della carta di credito da parte degli italiani, sia soprattutto un problema di cultura: «Molti non sono, infatti, a conoscenza che, in quanto garantita, la carta di credito è molto più sicura rispetto alle carte prepagate, la cui richiesta è cresciuta negli ultimi anni in banca».

In questo, è la testimonianza di Dario Nisoli, direttore amministrativo di Agorà Network: «Strumenti come la “social card” che, nelle mani degli italiani a più basso reddito si trasformano in una carta elettronica ricaricabile e spendibile negli esercizi convenzionati, vengono apprezzati anche dalle persone più anziane, che familiarizzano, per necessità, con strumenti di nuova generazione imparando a non temerli ma beneficiando di una sicurezza ulteriore».

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