L’eccesso di contante favorisce l’economia sommersa

Gli italiani, segnala una ricerca A.R. Kearney, sono ancora restii a utilizzare le modalità di pagamento elettroniche

Il denaro contante passa di mano e mano e, dopo un po’ di passaggi, è difficile ricostruirne con esattezza i movimenti. Tutt’altra storia per carte di credito, bancomat e tutte le nuove forme di pagamento elettronico, che lasciano tracce ben visibili su terminali e cervelloni informatici. Ecco perché, se si vuole nascondere al fisco una transazione tra aziende o un lavoro in nero, la cara vecchia carta moneta è lo strumento di pagamento di gran lunga preferito. Non desta dunque particolare sorpresa che l’Italia, dove il 90% del numero delle transazioni avviene con pagamenti in contanti (contro il 69,3% della media europea), risulti il paese continentale con il più alto valore assoluto dell’economia sommersa, pari a circa 349 miliardi di euro l’anno (il 24% del Pil), mentre nella Ue a 27 si raggiungono i 2.000 miliardi di euro (circa il 18% del Pil). È quanto emerge da una ricerca effettuata da A.T. Kearney sulla “Shadow economy” presentata in occasione di un convegno organizzato da Visa. L’economia sommersa, differenza dell’economia criminale, può essere definita come il risultato di una attività economica legale non condotta nel rispetto completo della legge.

Il peso dei lavoratori autonomi
Nella grande maggioranza dei casi (circa il 60% del valore di questa fetta di Pil) questo significa lavoro nero, ma anche transazioni retail o b2b non denunciate in tutto o in parte. I principali settori interessati sono il manifatturiero, l’ingrosso/dettaglio e soprattutto, le costruzioni, dove la quota di sommerso è elevata in tutta Europa e in Italia supera il 35% del fatturato complessivo. Al contrario il fenomeno è praticamente assente in comparti estremamente regolamentati come elettricità, finanza e real estate. La particolare attitudine del nostro paese è favorita non solo dall’elevato livello di tassazione, ma anche dal forte peso del lavoro autonomo, ha notato Giulio de Caprariis di Confindustria: «La pressione fiscale nel nostro paese è elevata, ma pressappoco come in Svezia. Un fattore che spiega l’ampia diffusione del sommerso è il peso dell’occupazione autonoma, che nel nostro paese sfiora il 25% del totale, contro il 10% di Stati Uniti e Francia. I lavoratori indipendenti, a differenza degli altri paesi occidentali, non sono diffusi soltanto in settori come le costruzioni, ma anche nel commercio al dettaglio, nel noleggio auto, ecc.».

Gli incentivi all’utilizzo della moneta elettronica
Gli svantaggi per il sistema economico nel suo complesso sono facili da intuire: oltre alle mancate entrate per il fisco e il sistema di previdenza nazionale, l’economia sommersa crea disparità nella competizione tra imprese. Sinora le politiche di contrasto dei governi si sono concentrate sul lavoro nero; per quanto riguarda la mancata fatturazione, gli esecutivi hanno optato per misure fiscali e sanzioni (come il decreto Bersani del 2007, che ha stabilito la chiusura temporanea e multa per gli esercizi commerciali che non rilasciano scontrino fiscale per 3 volte nell’arco di 5 anni). Poco incoraggiato è stato l’utilizzo degli strumenti elettronici di pagamento che, invece, potrebbero ridurre notevolmente la “propensione al rischio” di individui e imprese. Fuori dall’Europa qualche tentativo è stato compiuto con successo: il Messico ha finanziato parte del costo dei terminali Pos per i piccoli esercizi commerciali. Colombia e Argentina hanno stabilito nel b2c degli sconti Iva per acquisti con pagamento con carta elettronica. La Corea del Sud, anche nel settore b2b, ha incentivato i pagamenti con carta elettronica. Più in generale, conclude lo studio A.T. Kearney, per limitare l’uso del contante sarebbe importante favorire l’apertura di conti correnti anche da parte delle fasce più deboli della popolazione, abbassando i costi fissi bancari.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome