Red Hat, prima o poi lo storage sarà open

L’idea è replicare l’impatto di Linux in uno spazio infrastrutturale dove conta l’integrazione.

L’impatto che Linux ebbe, e che continua ad avere, sul mondo dei sistemi operativi può essere replicato in campo storage. La matrice attiva è la stessa: l’opensource, con la sua capacità di irrompere e trasformare lo status quo.

Questo è l’intento e l’auspicio che fa Gerald Sternagl, Business unit manager storage di Red Hat Emea.

Oggi lo storage enterprise è proprietario, fatto a silos e non accetta i nuovi workload imposti dai big data, osserva il manager tedesco.

La situazione è anche rappresentabile con il lock-in verso i fornitori di sistemi, alti costi di gestione e un sostanziale disallineamento qualitativo fra storage e esigenze aziendali.

Il fatto è, osserva Sternagl, che i costi di storage non decrescono come crescono le richieste di maggior storage.

La proposta è dunque Red Hat Storage, una piattaforma aperta e software defined.

Perchè, spiega Sternagl, per passare i dati dal datacenter al cloud serve avere una piattaforma che lo faccia in modo unificato.
E non solo: scalabile, integrato ed estendibile.

In tal senso lo storage è centrale alla strategia di Red Hat, Open Hybrid Cloud.

OpenStack e Hadoop sono i due mantra protocollari su cui poggia RhStorage.
Importante é anche la community gluster.org, che è ciò che fu Fedora per Rhel.

E in Italia?
Il country manager italiano Gianni Anguilletti (nella foto) rivela che le attività di diffusione del verbo di Red Hat Storage nel nostro paese sono iniziate quest’anno.
Le prime manifestazioni di interesse sono arrivate dalle società di Tlc.

L’iniziativa è funzionale anche ai dati non propriamente mission critical, cioè dove non necessariamente si chiede intervento di un database relazionale, ma è a complemento delle infrastrutture esistenti.
Se vogliamo, a corollario di una strategia di innovazione.

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