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Omnichannel e retail, percorso obbligato

Nel mondo retail più che in altri settori, il dialogo fra un’azienda e i suoi clienti si svolge attraverso una moltitudine di canali di comunicazione: il sito web istituzionale, l’e-commerce, i social network, altri mezzi di comunicazione digitale come l’e-mail o le app, ma anche la pubblicità online e offline, il personale e la comunicazione nei punti vendita fisici, le dichiarazioni dei manager, il call center del servizio clienti.

Si tratta di un universo comunicativo che non sempre le aziende considerano in maniera integrata. Il motivo è semplice: storicamente questi “luoghi” fisici e virtuali non erano nemmeno considerati come canali di comunicazione e facevano comunque capo a divisione diverse dell’azienda.

Di fronte a questa situazione “sfaccettata” le aziende sentono sempre più spesso parlare di comunicazione e strategie omnichannel, che sono diventate il mantra degli esperti di marketing. In estrema sintesi e semplificando, l’approccio omnichannel recepisce il concetto che i clienti già conquistati e potenziali hanno oggi una visione trasversale dell’azienda con cui intendono intessere relazioni di comunicazione e auspicabilmente di acquisto. Mentre molte aziende vedono ancora i loro “luoghi” di interazione con i clienti come realtà separate, i clienti invece vedono un continuum di rapporti fisici e virtuali che, insieme, contribuiscono tutti a dare una immagine dell’azienda.

Il nuovo processo di acquisto e relazione

L’elemento di cambiamento è stata ovviamente la “digitalizzazione” del processo di acquisto e di relazione con un brand. Oggi il cliente medio comincia a informarsi online sui prodotti di un’azienda, visitandone ovviamente il sito istituzionale ma anche valutandone la presenza sui social network, intesa sia come presenza controllata (ad esempio la pagina Facebook) sia come ciò che si dice dell’azienda e dei suoi prodotti sempre nei social network. L’esperienza d’acquisto può poi restare online, ad esempio attraverso il sito di e-commerce dell’azienda, o estendersi anche offline recandosi in un punto vendita, dato che il negozio fisico è ancora percepito come il luogo d’acquisto per una fetta rilevante di consumatori.

ecommerceQuesto scenario è logico e le aziende lo conoscono già. Il tassello che a molte manca è comprendere che per i moderni consumatori non si tratta di una sequenza di passi successivi e alternativi ma di una esperienza integrata da cui trarre una “impressione” unica dell’azienda (la cosiddetta Customer Experience, CX) che ha una notevole importanza nelle decisioni di acquisto. Secondo elemento essenziale: il cliente si aspetta che anche l’azienda veda come integrata questa collezione di occasioni di interazione e, di conseguenza, abbia una comunicazione coerente lungo di esse.

Tutto questo può sembrare molto teorico ma ha in realtà conseguenze assai pratiche dal punto di vista dell’IT, perché molte aziende hanno in questo senso lacune da colmare prima di diventare davvero omnichannel. Non a caso la gran parte delle software house collegate al mondo ERP/CRM/SCM guardano proprio al settore retail come a quello che può generare, rispetto ad altri comparti dove la digitalizzazione è già arrivata da tempo, i maggiori investimenti nel breve e medio periodo.

Un bisogno di integrazione

L’elemento di fondo necessario per un approccio omnichannel è evidentemente quello dell’integrazione, che all’atto pratico diventa quantomeno la possibilità di condividere informazioni tra le piattaforme tecnologiche che gestiscono i vari canali di comunicazione e vendita. Il consumatore infatti si aspetta che l’azienda abbia una comunicazione coerente non solo nel senso formale del termine – cioè che non dia messaggi contrastanti – ma anche in quello sostanziale, ossia che le informazioni che comunica (ad esempio i prezzi e le disponibilità dei prodotti) e che mostra di sapere (ad esempio lo storico dei nostro acquisti) non cambino da canale a canale.

Oggi, invece, accade spesso che la metaforica mano destra dell’azienda non sappia cosa fa la sinistra. Facciamo un esempio concreto. Magari il sito di e-commerce sa che prodotti abbiamo acquistato in passato e ci offre promozioni particolari in tempo reale su prodotti simili, ma quando ci rechiamo in un punto vendita questa conoscenza sembra scomparsa perché non è a disposizione dell’addetto con cui parliamo. Il problema non sta solo nella promozione di altri prodotti che l’addetto potrebbe fare se ci “conoscesse” grazie ai dati che l’azienda comunque ha (o dovrebbe avere) ma piuttosto nel fatto che la percezione di una esperienza d’acquisto “spezzata” genera insoddisfazione nel cliente, anche se i prodotti acquistati sono buoni e il servizio è stato adeguato.

retail-ibmNel rapporto con la clientela si mostra quindi il bisogno di integrazione delle informazioni tra sistemi diversi che le imprese hanno già visto ad esempio nella gestione della loro supply chain estesa. E anche in questo caso le soluzioni non sono ovvie, in primo luogo perché il processo e il livello di evoluzione tecnologica dei vari canali di solito nelle imprese è molto variegato. E proprio l’anello fisico della catena – il punto vendita – è tipicamente quello più indietro e trascurato, nonostante la transizione verso gli acquisti online sia oggi molto meno evidente che in passato.

Cosa cercano le imprese

Come gestire in maniera integrata tutte le transazioni online e fisiche con i consumatori? Le statistiche e le analisi di mercato ci dicono che le aziende del mondo retail puntano sull’IT interna per realizzare l’integrazione tra i loro canali, ovviamente non partendo da zero ma assemblando le soluzioni che ci sono già sul mercato. Il motivo principale dietro queste decisione sta probabilmente nel fatto che i grandi retailer non considerano davvero possibile una piattaforma che da sola gestisca tutti i possibili punti di interazione con la clientela. Vale cioè ancora il principio dei prodotti ad hoc e delle competenze mirate: meglio scegliere una piattaforma specifica per i punti vendita, una per il monitoraggio del “sentiment” sui social network e una per l’e-commerce, lavorando poi eventualmente alla loro integrazione.

Non che i CIO del retail vogliano assumersi compiti inutilmente gravosi. Dai fornitori ci si aspetta che le loro piattaforme nascano già in grado di dialogare con altre, anche di vendor diversi, e soprattutto mettere a fatto comune la gestione dei dati. Proprio la possibilità di avere un modello unico delle informazioni da distribuire sui vari canali è uno dei punti considerati come più critici. Le grandi software house con competenze in campo database e analytics sono comunque avvantaggiate quando vogliono ricoprire il ruolo di fornitore principale di una architettura omnichannel, proprio perché la gestione di grandi quantità di dati e la loro analisi sono due fattori critici nelle strategie multicanale.

La strada da fare è comunque ancora piuttosto lunga, nonostante diversi analisti considerino l’omnichannel come un fatto acquisito. Lo è dal punto di vista dell’importanza che ha nelle strategie dei grandi retailer e nelle analisi che questi hanno già fatto per capire cose serve loro. Ma lo è molto meno quando si guarda alle implementazioni davvero completate, anche perché le capacità di spesa e di “visione” dei grandi nomi non sono le stesse delle catene di dimensioni più contenute.

Ma l’omnichannel non è una moda da grande marchio. I numeri dimostrano che una strategia di comunicazione integrata fa presa sui consumatori delle nuove generazioni e porta a maggiori vendite nei negozi fisici. Soprattutto l’esperienza dei brand di abbigliamento e accessori mostra che il digitale aiuta a costruire il legame con il brand, il che porta poi i consumatori in negozio e agevola aumenti significativi delle vendite. Nessuna sostituzione del canale fisico con il digitale, quindi, ma una convivenza sinergica di entrambi.

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