N° 119 GIUGNO 2003

Lo stato di salute del franchising. Dal boom delle catene negli anni 90 alle affiliazioni di oggi. Ne abbiamo “trovate” circa 25 per un totale di oltre 2mila negozi. Ecco chi sono e come si stanno, o si dovrebbero, trasformare per far fronte alle sfide del XXI secolo.

I dati di Assofranchising (pdf)

Giugno 2003,
Nella metà degli anni 90 il mercato informatico fu protagonista di
una crescita esponenziale nell’area consumer. Dal ’94 al ’96
si registrò un incremento del 50% nelle vendite a questo settore
e, di conseguenza, ci fu un fiorire anche di punti vendita indirizzati al
mondo home, tanto che i distributori cominciarono a organizzare le prime
catene in franchising. Caso a parte Cdc, che aprì
i primi punti vendita già nell’87, aggiudicandosi il titolo
di vero pioniere del franchising informatico. Ma tutti gli altri si mossero
una decina d’anni dopo, quando si contavano, indicativamente, oltre
trenta franchisor e migliaia di affiliati.
Oggi il quadro di riferimento è cambiato. Nel corso degli anni alcune
catene sono fallite (Infoteca, Computer Union,
per citarne alcune) altre sono state acquisite e gestite da un solo franchisor
o semplicemente passate in mani diverse. Secondo le nostre indagini, attualmente
risultano circa 23 affiliazioni per un totale di oltre 2mila punti vendita
su tutto il territorio nazionale. All’interno di queste affiliazioni
abbiamo cercato di chiarire che tipo di contratti ci sono: il franchising
puro, quello oneroso, che richiede fee d’ingresso e royalty da parte
dell’affiliato, ma anche una capacità di erogare servizi da
parte del franchisor è appannaggio di poche realtà. Di questa
tipologia ne abbiamo contate meno di una decina. Gli altri sono affiliazioni,
più o meno libere, meno impegnative per entrambi gli attori in gioco.


Quale franchising?
«Per fare un franchising “puro” – spiega Corrado
Coraglia
, direttore marketing di Elettrodata che
ha una rete di 54 negozi affiliati con insegna FrEDom che fatturano 15 milioni
di euro – occorrono delle risorse. Bisogna essere capaci di garantire
la disponibilità dei prodotti, dei ritorni sicuri, un’assistenza
adeguata, margini quantomeno accettabili. Noi abbiamo preferito la formula
dell’affiliazione, anche se l’obiettivo è arrivare a un franchising
vero e proprio. Per ora proponiamo ai nostri migliori dealer un accordo
commerciale che prevede il raggiungimento di un target di fatturato e di
prodotto a fronte dei quali offriamo dei rebate e una serie di servizi marketing
e informativi»
. Di opinioni e di critiche ce n’è, comunque,
per tutti i gusti. Ecco cosa pensa Yaron Mennheimer, fondatore
di Pc Gratis, una realtà un po’ anomala all’interno
della nostra inchiesta, poiché gestisce, a differenza delle altre
realtà contattate, la compravendita di pc usati «che ci
permettono margini del 30/40%
– dice, gestendo tre negozi di proprietà
e 4 affiliati, tutti associati sotto il marchio Pc Gratis -. È
vero, non penso bene del franchising perché ritengo che chi si affida
a questo tipo di strutture non ha le idee chiare e si fa abbindolare da
chi ha grossi mezzi pubblicitari, ma poi si ritrova a lavorare con margini
ridotti e deve ancora dividere i guadagni con il franchisor, vedendo così
depauperata la sua quota»
.

Franchising tra sogni e realtà
Eppure anche Mennheimer punta al franchising: «Con l’associazione
cerchiamo un maggiore poter d’acquisto, ci diamo regole precise in modo
che il cliente che si rivolge a noi riceve lo stesso tipo di trattamento,
abbiamo listini comuni. Questa idea pone le basi per lo sviluppo di una
catena in franchising, ma non abbiamo oggi le risorse economiche per fare
una campagna pubblicitaria indispensabile per conquistare l’interesse di
altri negozi»
.

Altre puntualizzazioni vengono da Federico
Ranfagni
, direttore commerciale di Incomedia,
partita con l’obiettivo di arrivare a 50 Incomedia Point per
la vendita di prodotti multimediali di propria produzione, che si è
invece fermata a 19 affiliati abbandonando questo progetto per seguire attività
all’estero con l’apertura di distributori: «Il franchising presenta
parecchie difficoltà soprattutto per il franchisee: difficoltà
nello smaltire le scorte e nel garantire al franchisor i fatturati richiesti.
Inoltre gli spazi medi degli affiliati sono ridotti e la quantità
di merce esposta è inferiore a quanto potenzialmente è loro
richiesto. C’è ancora poca competenza dei negozianti e non è
sempre facile vendere, specie per quanto riguarda il software»
.

Rispettare l’identità del negozio
Alcuni sottolineano l’importanza nel rispettare l’identità del negozio
affiliato, un tema da non sottovalutare visto che per questo motivo molti
hanno rinunciato all’idea stessa dell’affiliazione. Ecco cosa afferma al
riguardo Mario Vacirca, responsabile settore affiliazioni
di www.pcworld.it, nata nel ’99 che ora conta 27 negozi
affiliati e l’obiettivo di 50 punti vendita entro l’anno. «Fino
a oggi l’appartenenza a una catena portava a un’obbligatoria omologazione
al brand e alla sua immagine e ciò condizionava il modo di lavorare
del negozio. Noi crediamo che ogni punto vendita abbia acquisito nel tempo
esperienza sul territorio e abbia approfondito la conoscenza del suo target
come nessun’altro; privarlo di tutto questo significa espropriarlo di un
patrimonio commerciale preziosissimo. Per questo l’affiliazione non deve
assolutamente annullare l’individualità del rivenditore, ma piuttosto
supportarlo fornendogli informazioni più complete sul mercato in
generale, creando un filo diretto con i vendor, tutelandolo anche da repentine
variazioni di listino e offrendogli la possibilità di usufruire di
promozioni o sconti particolari. L’applicazione di politiche di affiliazione
centralizzate
– continua – ha causato in questi anni l’annullamento
dello sforzo professionale compiuto dal singolo negozio, a volte anche obbligandolo
ad acquistare prodotti non strategici per il suo business, o magari giacenti
da tempo a magazzino, con conseguente danno d’immagine e quindi perdita
economica»
.
Non si dimenticano anche gli aspetti positivi: «Certamente nei
momenti di difficoltà i vantaggi di appartenere a una catena, quali
visibilità, informazioni, economie di scala, attività marketing

– spiega Coraglia di Elettrodata – fanno comunque la differenza».

Quanto alle cause di chi non è riuscito nella gestione di una catena,
i nostri interlocutori provano a rispondere: «È difficile
identificare un motivo specifico
– sostiene Mario Paganelli,
general manager di Az Informatica, franchisor dei 26 Computer
Point
che pagano tanto di fee d’ingresso e royalty e che dovrebbero
arrivare a 50 entro il 2003 -. Penso che ci siano due macro insiemi
di problemi: da un lato le difficoltà oggettive dei distributori
che a volte hanno ribaltato la politica dei vendor dei volumi a tutti i
costi e dei bassi margini sui propri affiliati dall’altro la tipologia dei
dealer, ancora troppo numerosi rispetto a un mercato italiano che non consente
la sopravvivenza di tutti. Credo che nel passato si sia molto improvvisato
e si sia aperto il “negozio” come hobby o per mancanza di alternative»
.

«Alcune catene che in questi anni hanno fallito – aggiunge
Egidio Bagnato, responsabile sviluppo gruppo Brain
Technology
che gestisce la catena degli Essedi Shop
non avevano alle spalle un progetto preciso con investimenti adeguati
e spesso hanno fatto il passo più lungo della gamba»
.
Nonostante tutto, questa formula va avanti, si rinnova anche, puntando soprattutto
su un’offerta differenziata sui servizi, verso un’utenza un po’ più
professionale, specialmente ora che la Gdo avanza.

La catena Essedishop,
per esempio, sta lavorando a un progetto di formazione basato sull’e-learning,
partito in Toscana grazie a un accordo con Confesercenti della regione che
paga il 50% alle aziende interessate a seguire corsi base su Windows, office
e di navigazione on line.
«Lo sforzo di quest’anno – spiega invece Paganelli di Az Informatica
– è stato quello di ricercare gli strumenti finanziari adeguati per
il mercato di riferimento, passando dal classico tasso zero per il mercato
consumer alle formule di finanziamento e/o leasing per i professionisti
e le aziende». Con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso, attualmente
un po’ zoppicante da un lato e alla ricerca di una nuova identità
dall’altro, la formula dell’affiliazione continua a fare proseliti. A parte
i già citati FrEDom di Elettrodata e Pc Gratis che sognano un vero
franchsing, se ne aggiungono altri che proprio di questi tempi stanno lavorando
a progetti simili. Finson intende aprire nuovi corner (vedi
box), così come Digits di Bari anch’essa impegnata
con nuovi corner denominati Computer Club all’interno di
alcune decine di rivenditori con cui da tempo lavora. Bit International
sta, infine, dando inizio a un progetto di franchising a insegna Twin
che per ora vede però attivo un solo punto vendita.

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