La privacy? Un paradosso per EMC

Dal Privacy Index di Emc uno scenario curioso: la distanza tra le dichiarazioni di intenti e di interesse nei confronti della tutela della riservatezza dei dati personali e i comportamenti quotidiani è sempre più marcata.

Quanto vale la tua privacy?
La domanda, tutt’altro che oziosa, potrebbe essere utilizzata per dimostrare come il passaggio dalla teoria alla pratica spesso rischi di perdere linearità.
Perché a parole – lo sappiamo – la privacy sembra essere uno dei principi si quali meno si è disposti a transigere, salvo poi metterla in discussione con i propri comportamenti.

Lo dimostra chiaramente il Privacy Index, presentato da Emc qualche settimana fa.
”Viviamo in un mondo profondamente cambiato rispetto al passato anche grazie all’affermazione di due fenomeni concorrenti: da un lato le App, che guidano di fatto i nuovi mercati e i percorsi innovativi, dall’altro i servizi di geolocalizzazione – spiega Marco Fanizzi Ceo della filiale italiana della società –. Sono fenomeni che generano un flusso crescente di dati, – 44 trilioni di gigabyte di dati in rete entro il 2020, dicono le previsioni – che diventano elemento di competitività per chi può farne uso”.
È da questo assunto che è partita la ricerca dalla quale è poi scaturito l’indice e che ha coinvolto 15 Paesi nel mondo, Italia inclusa, con un campione di 1.000 rispondenti per Paese.
Obiettivo: misurare il comportamento dei consumatori nei confronti della privacy online.
Nel corso dello studio, i rispondenti sono stati associati a sei ruoli, cui corrispondono finalità d’uso dei dati diverse: Consumer, in particolare in relazione alle attività di commercio elettronico, Dipendenti, i cui comportamenti sono dunque correlati ad attività e sistemi di tipo aziendale, Social, misurati dunque in base all’interazione con i siti social, Medico, Finanziario, Cittadino.
Per ciascun ruolo, lo studio si è prefisso di capire qual è la disponibilità a rinunciare alla privacy in cambio di qualche beneficio, anche economico, il livello di fiducia nei confronti dell’etica e della trasparenza con cui le istituzioni trattano la privacy, il livello di fiducia nelle effettive capacità dei Governi e delle istituzioni di proteggerla, livello di fiducia nel futuro.

Va detto che l’esito è per lo meno curioso.
”Non è un caso che lo abbiamo definito paradosso, commenta Fanizzi, sottolineando come di fatto ci si trovi in un mondo di paradossi, nel quale, ad esempio, gli utenti sono disposti a barattare la loro privacy in cambio di un qualunque tipo di beneficio, sia strettamente economico, sia in termini di servizi erogati.
Similmente, pur percependo l’entità dei rischi connessi alla violazione della privacy e dei dati personali, difficilmente i consumatori si attivano in prima persona, ma lasciano alle imprese, ai Governi e alle istituzioni l’onere di prendersene cura.
”Infine – prosegue Fanizzi – è sotto gli occhi di tutti la discrasia tra quanto gli utenti dei social media dichiarano di valutare la propria privacy e la quantità di dati e informazioni personali condivise proprio sulle reti sociali”.
In questo scenario, paradosso sul paradosso, la fiducia sui livelli di tutela della privacy è decisamente bassa e sembra destinata a ridursi ulteriormente in futuro.

In questa indagine, l’Italia esce sostanzialmente in linea con il campione: si colloca sesta nella classifica, con un 29 per cento di rispondenti disposti a barattare la privacy in cambio di qualche vantaggio, contro una media del 27%.
I comportamenti sono però in netto contrasto con le dichiarazioni di intenti, visto che meno della metà degli intervistati (41 per cento) cambia con regolarità le password, che 1 utente su 3 non ha alcuna password per tablet o cellulari né regola le impostazioni della privacy sui social network.
Una parte davvero significativa del campione (86 per cento) acquista prodotti in rete, il 64 per cento utilizza le reti sociali, nondimeno l’89 per cento dichiara di non gradire la diffusione delle proprie informazioni personali online.
Ci vorrebbero legislazioni specifiche, si augura l’88 per cento degli intervistati, ma solo il 40 per cento è oggi convinto che le istituzioni stiano facendo qualcosa per migliorare i livelli di tutela e protezione.
Il risultato è un crescente senso di sfiducia rispetto al miglioramento della situazione in futuro.

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