Infrastrutture: svoltare all’Opex tutti insieme

Si possono cambiare, in meglio, i datacenter, muovendosi fra cloud e virtualizzazione. E con un assessment che va come il pane. Ne parliamo con Enrico Brunero di Dimension Data.

Infrastructure as a Service che vuol dire, concretamente? Fare system integration per le infrastrutture, rendere attuale l’ottimizzazione dei centri agendo sul backbone e su quel “ferro” che può dare senz’altro di più.

«Stiamo accelerando su alcuni temi legati al private cloud e sulla datacenter transformation – ci dice Enrico Brunero di Dimension Data – . Nelle aziende ci sono silos di dati e tanto networking da ottimizzare. Noi lo facciamo con un approccio orientato al delivery dei servizi».

Come? «Con un assessment innanzitutto».

Approccio classico.. « Sì, ma i clienti lo stanno apprezzando come non mai».
E poi con tanti servizi.
Anche verso il cloud? «Complesso il percorso verso un approccio ibrido o di public cloud. Entrano in gioco fattori esterni, di disponibilità di banda innanzitutto e poi di natura politico-organizzativa: si fanno scelte che impattano sugli equilbri aziendali e quindi sulla fattibilità dell’evoluzione».

Allora da dove si comincia? «Dalla virtualizzazione, che da subto significa risparmio, energetico. Facile comprenderlo».

Ma c’è di più, ed è sul fronte dei rapporti manageriali: «Una volta non era difficile convincere un Cfo, che maneggia le bollette. Andava dal Cio a proporre una riduzione del consumo energetico e spesso accadeva che questi rigettasse la materia: non era affar suo. Ora la situazione è cambiata. Il Cio si è posto sulla stessa linea del responsabile finanziario, instaurando una stretta correlazione sulla tematica».

Perché?
«Perché entrambi ora ragionano su una piattaforma Opex. Molti clienti ci chiedono di cambiare l’offerta da Capex a Opex. Noi lo facciamo con un canone mensile per il data center networking e i server».

Su che orizzonte temporale? «Cinque anni, rinegoziabili».

Dalla virtualizzazione al cloud. Ma quale? Puro, ibrido, pubblico?
«Cloud ibrido e pubblico come tema li metto insieme, perché in entrambi i casi si deve fare riferimento a un provider. Che lo si faccia in tutto o in parte per il workload poco cambia. Vanno resi disponibili strumenti per il self provisioning e il billing delle risorse. E sul tema ora siamo ancora in fase embrionale.
Piuttosto, l’offerta attuale ha le sembianze di un restyling di quella classica di hosting, housing. Di outsourcing, insomma
».

E qui entra in gioco la sicurezza. Fuorviante problema se si parla di cloud, secondo Brunero. «Non è un problema di tecnologie, ce n’è a sufficienza. Ma di compliance e processi che si sceglie di portare sulla nuvola. Ossia lo stesso tema dell’outsourcing. La responsabilità dei dati è sempre dell’azienda che li detiene. Se decide di andare in cloud deve assicurarsi quali sono le policy di retention, accesso e backup. Solita procedura. Perciò parlare di criticità di sicurezza è fuorviante».

In sintesi qual è l’approccio ai clienti di Dimension Data?
«Personalizzato: tutta la proposition è basata sul nero su bianco, con assessment e piani di evoluzione multi-step. Gli obiettivi che proponiamo sono il passaggio da Capex a Opex, l’efficientamento delle infrastrutture, la preparazione a paradigmi cloud. Per aziende medio-grandi nei settori retail, finance e manufacturing. Più facile lavorare coi primi due, avvezzi a reagire sulla marginalità. Nel manufacturing il lavoro si presenta più tosto».

Ma del resto, no pain, no gain.

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