In Italia è boom per le business Tv

I bassi costi del Web hanno favorito la diffusione delle televisioni gestite dalle aziende

Quando in Italia sono arrivate le prime sperimentazioni, oltreoceano già si trasmetteva da dieci anni. Con staff compositi, simili ai team delle produzioni dei grandi network. E con sedi dislocate anche su più piani, come nel caso dell’American Express. Questo colosso di servizi finanziari già nel 1977 aveva destinato due piani nel suo headquarter alla creazione di un canale televisivo interno. In letteratura queste web tv a circuito chiuso prendono il nome di business tv. Andrea Notarnicola, il pioniere italiano a scrivere di questo tema, definisce queste tv come «canali televisivi creati da imprese non radiotelevisive volti ad accrescere il business». L’Italia sta vivendo ora una fase di boom, che la colloca nelle prime posizioni fra i Paesi europei che adottano questa modalità di comunicazione. In testa c’è la Germania, dove si contano oltre settanta tv aziendali attualmente in programmazione e addirittura un consorzio che le raggruppa, il Ctva.

La situazione nel nostro Paese
In Italia i numeri sono più esigui ma in crescita, secondo quanto emerge da una recentissima ricerca dell’Università Bocconi di Milano, presentata nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio sulle business tv. La ricerca ha interrogato ben 330 imprese. E i risultati svelano un trend in espansione. Delle imprese che utilizzano in modo continuativo il video, il 14% ha una business tv, il 10% pubblica clip in modo diffuso e organizzato (ma non tramite business tv) e il 6% ha una tv aziendale in fase di attivazione. «La ricerca mostra come un numero crescente di aziende voglia video-raccontare la propria storia – spiega Paola Dubini, responsabile dell’Osservatorio business tv della Bocconi – . Con l’abbattimento dei costi di produzione e la proliferazione dei canali di diffusione, aumenta la sperimentazione». Ogni impresa, infatti, ha il suo canale. E lo sviluppa per dialogare con specifici pubblici. Si tratta di comunicazione interna mirata, che sfiora le tecniche del marketing strategico. Perché la business tv deve emozionare per intercettare l’interesse del proprio pubblico. E così c’è chi sceglie di dialogare con la forza vendita grazie a chiavette usb contenenti video aziendali e aggiornate in maniera sistematica, come nel caso di Luxottica. O c’è chi preferisce irradiare una tv aziendale nelle cabine degli equipaggi delle navi: è così che Costa Crociere videodialoga con i suoi 14mila dipendenti di terra e di bordo. Oppure c’è chi opta per trasmettere la programmazione della sua tv nei macchinari per l’allenamento. È il caso di Technogym. Nella palestra aziendale i dipendenti, allenandosi in pausa pranzo, possono guardare il proprio canale televisivo.

Strumenti importanti ma non ‘unici’
Non è solo sperimentazione. Ad oggi le aziende che implementano tv lo fanno in modo più consapevole e maturo rispetto ai goffi tentativi di alcuni anni fa. Una delle prime sperimentazioni fu quella di Fiat, nel 1989. Trasmetteva sul satellite raggiungendo la rete commerciale e i punti vendita. La tv venne però chiusa dopo poco tempo, a causa degli ingenti costi dei mezzi di distribuzione che aveva all’epoca il satellite. È uno strumento recente. Ben il 48% delle imprese interessate al fenomeno ha introdotto la business tv a cavallo tra il 2005 e 2006. Addirittura il 26% nell’ultimo biennio. È uno strumento cardine di comunicazione. Il 33% delle aziende intervistate dichiara che è importante e l’8% lo ritiene strategico. È un’esperienza ritenuta positiva. Più dell’80% del campione intende proseguire e investire. Ma attenzione. La tv non sostituisce le buone vecchie pratiche della comunicazione interna. Il 28% degli intervistati sostiene che la tv agisce come supporto alla comunicazione tradizionale. Si tratta, infatti, di mezzi di comunicazioni creati per emozionare, anche se sono irradiati per raccontare le attività aziendali, la vision, gli eventi, i prodotti e i servizi. La tv in formato travet serve per formare, informare, creare uno spirito di appartenenza e accrescere la motivazione.

Dall’interno all’esterno dell’azienda
Nell’era dell’impresa 2.0 la condivisione dei valori passa dunque anche per il digitale. I contenuti vengono aggiornati in modo seriale dalla stragrande maggioranza delle aziende. Una volta al mese nel 20% dei casi, settimanalmente nel 18% e addirittura quotidianamente nel 17%. Si tratta di “video fast-news”: nel 42% dei canali le clip non superano i tre minuti. Il marchio distintivo della generazione YouTube ha lasciato il segno, anche per quanto riguarda i costi di implementazione e realizzazione. Oggi le aziende scommettono sulla Rete, quella interna e (sempre più spesso) anche quella esterna. Creano i propri canali video adottando la trasmissione in streaming o download. Si irradia la tv dalla Intranet nel 40% di casi. Ma non solo. C’è infatti anche una buona fetta (in netto aumento, attualmente si attesta al 20%) che decide appunto di proporre i propri format ai pubblici esterni. Queste aziende creano brand tv, intercettando gli stakeholders che appartengono al classico indotto aziendale (dai fornitori di servizi alla forza vendita). Fino a spingersi oltre, verso un videodialogo con i clienti esterni. Nel mondo ha fatto scuola l’azienda di frullatori Blendtech. Nel format “Will it Blend?” il titolare dell’azienda frulla ogni cosa. E il pubblico della Rete gradisce. La puntata in cui ha frullato l’iPhone di Steve Jobs nel giorno della sua uscita americana ha fatto registrare quasi cinque milioni di accessi. E l’azienda ha accresciuto del 500% le vendite in un anno.

Le strategie vincenti
Ma anche l’Italia ha le sue eccellenze. È il caso di imprese come Mediolanum (esperienza pionieristica in Italia), Pirelli Re (con oltre l’80% della programmazione uploadato su YouTube), Gewiss ed Epson (col Tg e i video di prodotto) e di Technogym (con la Brand Tv). D’altronde per i brand il dialogo con le community digitali (interne all’impresa o esterne) diventa il fattore differenziante. Ma guai ad improvvisarsi editori. «Le imprese spesso non hanno strutture organizzative e piattaforme per farsi in proprio la tv. Occorrono competenze specifiche» – precisa Bruno Pellegrini, TBTV, partner dell’iniziativa milanese. Ma alcune strategie vengono ritenute vincenti. «Per fare una business tv interessante occorre rapportarsi in modo diretto con i propri dipendenti e clienti. L’azienda non deve fingere, lo scenario è cambiato e il coinvolgimento è la chiave di lettura» – afferma Robin Good, intervenuto alla presentazione dei risultati della ricerca. E l’investimento è relativamente contenuto. È in auge la business tv “low cost”. Nell’ecosistema del digitale la scure dei costi scende drasticamente. E così ogni impresa può creare la propria tv. Come è avvenuto in Effe, azienda del Bergamasco che opera nel settore edilizio. Questa family company con duecento collaboratori irradia tutto il suo ‘vissuto’ dal canale televisivo. «Abbiamo sentito il bisogno di raccontare la nostra storia, di narrare le famiglie professionali dei dipendenti» – afferma Giovanni Della Minola, Gruppo Effe, esempio di una piccola azienda che ruota attorno alla tv. La sua.


*Co-fondatore dell’Osservatorio sulle business tv dell’Università Bocconi

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