Il futuro della Tv tra Internet e nuovi media

L’irrompere delle nuove categorie di pubblico proattivo costringe la “vecchia” televisione a puntare su brand e diversificazione

Come sarà lo schermo del futuro? Di certo rimarrà quello classico anche in versione supermoderna (plasma o LCD), ma con l’affermarsi delle nuove tecnologie i programmi televisivi potranno essere visti ovunque: sul computer, su cellulare, su postazioni stradali. E il pubblico come sarà, visto che ormai il sostantivo va coniugato al plurale perché esistono già diversi pubblici? Sembra essere giunto il momento di tirare una riga sulla realtà televisiva odierna. Lo ha fatto il dipartimento comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha organizzato alla Triennale di Milano un convegno dal titolo “Lo schermo globale: presente e futuro della televisione”. Un simposio che ha avuto come proposito quello di riflettere sullo sviluppo passato, presente e futuro della televisione vista in un’ottica internazionale, senza dimenticare gli scenari globali, i riflessi sul nostro sistema nazionale e le prospettive offerte dalle nuove tecnologie digitali.

È indubbio che il televisore non costituisca più il dispositivo esclusivo di fruizione di un qualsivoglia programma. Da qui ha preso il via l’intervento del sociologo della comunicazione Francesco Casetti. Così, come già succede nei campi del cinema, della fotografia, della musica, con la convergenza cessa di esserci un’identificazione tra il medium e i suoi prodotti: una stessa piattaforma tecnologica può offrire i più diversi contenuti e servizi; e uno stesso prodotto può girare su più piattaforme. La conseguenza è che la tv si può vedere ovunque. Una moltiplicazione che provoca effetti più radicali di quanto possa sembrare. Si deve allora parlare di processo di “rilocazione” della televisione, per capire come la territorializzazione degli schermi stia producendo una nuova articolazione del panorama mediale.

Il campo televisivo dominato dall’incertezza
Un altro esperto di media, Giuseppe Richeri, docente dell’Università Svizzera Italiana, ha fatto il punto sulla situazione italiana. «La storia della Tv per così dire alternativa non è così recente e passa per diversi e fisiologici fallimenti. Chi non ricorda le prime piattaforme televisive degli anni ’70, con le leggi allora vigenti che tentavano di frenare l’evoluzione, mentre contemporaneamente cifre colossali venivano spese? Soldi che non sono più tornati indietro. I primi tentativi satellitari nel 1976: un disastro di livello europeo. Il primo esempio di Alta Definizione promossa nel 1986, un altro passo falso. Sono tutte lezioni da prendere in considerazione, anche oggi che il percorso pare più agevole. Occorre prendere coscienza del fatto che il campo televisivo è ancora dominato dall’incertezza, con previsioni d’impatto sempre difficile da quantificare. Questo perché dietro ci sono e ci saranno sempre troppe forme di negoziazione. Si pensi a come viene vissuto il Digitale terrestre in svariati paesi europei: impiego e riuscita sono differenti ovunque, perché diverse sono le modalità di gestione. E poi, si parla tanto di nuovi flussi di comunicazione come di un fattore di progresso visto come maggiore libertà, ma riflettiamo: non si tratta mai di qualcosa di equilibrato, c’è sempre una situazione dominante e una dominata. L’interattività crescente non porta automaticamente equilibrio e libertà, anzi: si pensi all’esempio Francia-Maghreb, dove il Paese europeo alimenta i flussi di comunicazione di un altro Paese e di fatto lo rende dipendente».

Rai e Mediaset, esperienze sul campo
Per la Rai il responsabile marketing strategico, Andrea Fabiano ha spiegato che «capire i cambiamenti significa farli propri e tradurli in nuovi sistemi. Le mutazioni cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo sono avvenute molto velocemente, al punto che anche termini istituzionali come broadcasting o televisione ci portano a ragionare in maniera obsoleta. Perché oggi gli stessi utenti possono essere protagonisti, produttori, appartenenti a diverse componenti sociali a seconda degli argomenti trattati da una singola trasmissione. Sono utenti che non vogliono abbandonare il mezzo, ma solo scegliere quello più consono, opportuno, avendo maturato una visione sempre più critica e non aderendo ideologicamente a una Rete. E così anche il video televisivo, considerato spesso alla fine del suo viaggio, trae dalle nuove piattaforme una forma di costante e rinnovato riscatto».

Ricco di rimandi, anche cinematografici, l’intervento di Federico Di Chio, responsabile della digitalizzazione di Mediaset: «Lo schermo ci consente di valutare il reale, non è più un semplice sipario che si alza, non ci vede più in una situazione di difesa passiva, ma ci fotografa come protagonisti. È un processo che ci ha visti passare dalla visione di uno schermo adatto al contesto, proporzionato, familiare, sacro alla sua “desacralizzazione” odierna, dovuta alla mancanza di sincronia: si pensi alla fiction visibile in chiaro, che poi però diventa difficile da commentare perché è già stata trasmessa con un anno di anticipo su SKY. La Tv, insomma, non garantisce più una visione collettiva, e anche i mezzi differenti ne aumentano la dispersione. Tra HD, desk, phone e pod tutto è manipolabile e riproducibile in privato. Cambia così anche la fruizione del singolo utente: prima lo sguardo era al centro dell’avvenimento trasmesso, oggi, con l’ausilio di centinaia di telecamere, la visione è assai più variegata e multiforme».
Dai contorni economisti la visione di Marco Biraghi, docente del Politecnico di Milano: «La televisione consuma tempo, il nostro, anche se tendiamo quasi a non accorgercene. È una scelta non da poco. Che ha ripercussioni a livello economico. Infatti, l’arricchimento delle possibilità televisive, sia a livello tecnico sia per quel che concerne la programmazione, permettono alla Tv di guadagnare spazio e mercato rispetto agli altri mezzi. Diventa più invasiva e presente. Un aumento di spazio, di esperienza e di tempo, elementi cresciuti in sintonia con le nuove tecnologie digitali».

Sono arrivati i barbari
La Tv ha perso progressivamente la propria egemonia. Ma è da qui che è iniziata la sua riscossa. Almeno questo è il pensiero del critico televisivo Aldo Grasso: «Le mura periferiche sono crollate, sono arrivati i barbari. Le loro armi sono il web, il podcasting, i satelliti, le tecnologie digitali. Ed ecco la soluzione, la via d’uscita: il marchio, la sua riconoscibilità. Ma dietro un brand deve esserci una proposta adeguata. Ed è a questo punto che nasce e si afferma il concetto di diversificazione e qualità. Qualcosa del genere era giù successa negli Stati Uniti grazie al successo del serial. Oggi, su Fox Crime accade lo stesso, ovvero la riqualificazione del proprio marchio. Si pensi, per fare un altro esempio esterofilo, alla vicenda di Hbo e al claim che la introdusse “Non è tv è Hbo”, come dire la negazione della valenza della Tv per esaltarne uno dei marchi da essa proposti». La conferma arriva da Paola Acquaviva, responsabile della programmazione del canale Fox: «Riconoscibilità e standard qualitativi alti sono i termini che definiscono Fox. Fin dall’inizio, nel 2003, abbiamo privilegiato la diversificazione e la complementarietà. E dalle idee si è passati ai progetti concreti. Fox ha lanciato in progressione svariati canali, quasi uno all’anno: dal rosa di Fox Life, al maschile FX, al crimine di Crime che rappresenta il canale SKY più seguito nella giornata e al terzo posto nel prime time, dopo lo sport e il Cinema. Il suo segreto? Un mix di autorevolezza, perentorietà e ironia». La riscossa della Tv sofà arriva dal satellite.

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