In Italia 37,5 miliardi di euro di mancati pagamenti

La presentazione dell’annuale European Payment Index di Intrum Justitia mette in luce un circolo vizioso: nonostante la direttiva Ue, siamo ancora tra i cattivi pagatori. E lo Stato non dà certo il buon esempio.

C’è un paradosso evidente quando si parla di pagamenti e dei rischi ad essi correlati: colui che dovrebbe insegnare ai cittadini e alle imprese a essere dei buoni pagatori è il peggior imputato. Un imputato per altro che non si limita a non pagare il dovuto, ma che per di più è anche il primo a essere soddisfatto quando il debitore è l’azienda.

E’ questa una delle evidenze che emerge dalla presentazione del rapporto 2013 elaborato da Intrum Justitia dopo aver interpellato qualcosa come 10.000 Cfo in 31 Paesi europei.
E’ un raporto che solleva non poche domande e non poche preoccupazioni dal momento che mette in evidenza come solo quattro Paesi, non a caso tutti nordici, siano riusciti a ridurre la percentuale di perdita sui crediti, distanziandosi pertanto dalle restanti 27 nazioni nelle quali l’emergenza è conclamata.

Complessivamente, ed è questo il dato macro più eclatante, a causa degli insoluti, le aziende lo scorso anno hanno iscritto a perdita 350 miliardi di euro. E per tutti i Paesi, fatti salvi i quattro Nordics già citati e la Germania che ha chiuso in sostanziale pareggio rispetto allo scorso anno, la situazione è in peggioramento rispetto ai dodici mesi precedenti.
Tutto ciò si traduce in perdita di liquidità e soprattutto innesca un circolo vizioso tale per cui chi viene pagato tardi a sua volta paga tardi in una spirale allarmante.

Allarmante, secondo Intrum Justitia, è anche il fatto che il fenomeno di perdita del credito è più evidente sulle piccole imprese rispetto alle grandi, tanto che in percentuale si passa da una perdita del 4 per cento a una dell’1 per cento, che lascia chiaramente intuire come le aziende più piccole finiscano per fare da banca a quelle più grandi, mettendo a repentaglio la loro stessa sopravvivenza.

Il divario geografico che separa le diverse aree all’interno dell’Europa è estremamente marcato: così se il periodo medio di pagamento nelle transazioni tra i privati in Italia è di 74 giorni, in miglioramento rispetto ai 75 di un anno fa, nel Paesi del Sud dell’Europa è riuscito a ad abbassarsi da 63 a 57 giorni, mentre nel Nord Europa resta invariato a 22 giorni.
Queste cifre, di per sé già significative, diventano eclatanti quando si guarda al B2B: l’Italia si attesta sui 96 giorni laddove i Paesi del Sud Europa riescono a scendere da 91 a 79 giorni e quelli del Nord riescono ulteriormente a migliorare da 33 a 32 giorni, con la virtuosa Finlandia attestata a 26 giorni medi.
E il dramma esplode quando si parla di pagamenti da parte della pubblica amministrazione.
Poco giova sapere infatti che l’Italia riesce ad abbassare la media di dieci giornate anno su anno, se il totale si attesta ancora sui 170 giorni, esclusa naturalmente la sanità che continua a veleggiare su medie record, anche nell’ordine dell’anno di tempo.
Poco giova se si confronta con la media del Sud Europa, comunque attestata su preoccupanti 135 giorni, men che meno se si guarda ai virtuosi Nordics, che non vanno oltre i 32 giorni.

Il circolo è vizioso.
Ai tempi troppo lunghi si associano infatti tempi di reazione altrettanto lunghi.
Secondo lo studio più della metà delle imprese aspetta 86 giorni (in Italia 110) prima
di affidare la pratica ad una società specializzata, trascurando il fatto che le fatture insolute perdono valore nel tempo: aspettare 3 mesi prima di sollecitare un credito significa perdere il 25% di possibilità di incasso, aspettarne 6 significa perdere il 40% di possibilità di incasso.
Ed è evidente che minore incasso si traduce in minore liquidità, che a sua volta si traduce in minore possibilità di investire in innovazione, incidendo su un percorso di ripresa economica.

In netto calo è anche la fiducia sia nelle banche sia nelle istituzioni.
In Italia, dove la percentuale di perdita su crediti è aumentata al 2.8% del fatturato, per un totale di 37,5 miliardi di euro, il 54 per cento degli intepellati non ritiene di poter trovare supporto dalle banche, e addirittura il 94 per cento si dice convinto che il Governo non sia stato in grado di proteggere le imprese dai rischi dei mancati o ritardati pagamenti.
E quel che è peggio, il 65 per cento degli interpellati teme che il rischio di pagamento peggiorerà nei prossimi 12 mesi.

Tutto questo accade a monte dell’adozione della direttiva europea sui ritardi di pagamento, che il nostro Paese è stato tra i primi a recepire ma che evidentemente trova ancora a fatica attuazione.
In attesa che questo accada, e nelle speranza, confessata dalla maggior parte dei rispondenti, che la direttiva possa essere applicata anche al settore privato, secondo Intrum Justitia ci sono comunque dieci azioni che le aziende possono adottare per minimizzare per lo meno i rischi.

Le riportiamo testualmente:
1. Implementare una solida politica di credito per gestire i rischi ed aumentare i profitti;
2. Identificare in via preventiva il livello di rischio finanziario dei nuovi clienti
3. Monitorare periodicamente il rischio dei settori economici con cui si lavora e la solvibilità dei clienti chiave;
4. Allargare e bilanciare sempre il rischio dell’intero portafoglio clienti;
5. Integrare le procedure delle aree marketing, vendite e amministrazione;
6. Essere inequivocabili, ed accertarsi che i contratti con i clienti riportino chiaramente tutte le condizioni oggetto del contratto e le modalità di pagamento;
7. Controllare e aggiornare regolarmente gli indirizzi dei clienti;
8. Attivare procedure di sollecito ed addebitare interessi di mora per ritardato pagamento
9. Dare sempre seguito ad ogni azione del processo di gestione del credito
10. Non aspettare mai, ma agire sempre immediatamente per ottenere il pagamento

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