I datacenter devono vincere l’analfabetismo digitale

L’Osservatorio Assolombarda-Bocconi elegge la Lombardia terra ideale per chi realizza datacenter, ma occorre colmare il gap della mancata inflienza di chi innova sul territorio su Pubblico, cittadini e imprese residenti.

A dispetto di procedure legislative e di consultazione “vecchie e stantie” che, insieme a una cultura imprenditoriale troppo spesso miope, si confermano il principale ostacolo alla diffusione nel nostro Paese di un’economia digitale, le eccellenze regionali non mancano.

Lo spunto arriva dalla Lombardia e dai dati dello studio condotto dall’Osservatorio Assolombarda-Bocconi che, recentemente presentati nella sede associativa di Via Pantano, a Milano, non hanno dipinto solo i confini di una Regione in cui le infrastrutture informatiche chiamate a erogare cloud computing services beneficiano di servizi di telecomunicazioni in banda larga e di una capillare rete distributiva dell’energia elettrica.

Della bontà del territorio più popoloso d’Italia hanno parlato soprattutto i 44 mila mq delll’ultimo datacenter inaugurato nel 2011 a Ferrera Erbognone (Pv) da Eni «prima di aver letto i risultati dello studio condotto» ironizza Gianluigi Castelli, direttore Ict dell’azienda che ha come simbolo il cane a sei zampe, che ha scelto di realizzare l’ultimo nato vicino a una centrale proprietaria di cogenerazione elettrica a gas «per beneficiare di reti indipendenti e di sorgenti di natura differente di produzione».

Sostiene Castelli, Eni
La scelta di costruirlo ex novo è stata dettata dalla considerazione che un datacenter rappresenta a tutti gli effetti «un impianto industriale specifico chiamato, nel nostro caso – è l’ulteriore precisazione –, a rispondere in maniera sicura a una potenza elettrica di 10 kW per metro quadro richiedendo soluzioni di dissipazione del calore che, trovandoci in una zona di risaie, proprio perché circondati da acque di falda, ci ha imposto di aguzzare l’ingegno per raggiungere gli attuali livelli di efficienza energetica attraverso una concertazione messa a punto con una filiera volutamente esclusivamente italiana».

Raccontata da Castelli, la collaborazione con il Politecnico di Milano ha, infatti, portato alla realizzazione interna di tutti i modelli termodinamici in uso con una ventilazione naturale cui si è aggiunta la creazione di Ups statici, «ossia senza dissipazione di energia quando non vengono utilizzati», commissionata a due realtà del Tricolore su specifiche Eni, «visto che sul mercato non ne esistevano».

Ecco che, allora, il datacenter diventa elemento abilitante di una trasformazione più profonda per una realtà che non eroga servizi cloud ma assorbe quel che di buono c’è nel concetto che sottende alla nuvola «per erogare servizi di maggiore economicità, flessibilità ed efficacia ai clienti».
Da qui il ridisegno completo dell’infrastruttura di calcolo «realizzata attraverso un array di processori totalmente omogenei, che ha comportato la rivisitazione del portafoglio applicativo e del modello operativo» di Eni.

Il tutto, afferma Castelli, «per una potenza iniziale assorbita di 10 megawatt in grado di produrre 25 milioni di savings annui calcolati in termini energetici, che corrispondono a circa 80 mila tonnellate di anidride carbonica in meno immesse nell’atmosfera, a quasi una tonnellata di polveri sottili filtrate dal datacenter e a un beneficio economico nell’ordine dei 30 milioni di euro all’anno misurato in base ai cumulati della gestione operativa derivanti dalla razionalizzazione di un’infrastruttura che non è nata con questo obiettivo di efficienza ugualmente perseguita».

In cerca di infrastrutture e di una cultura digitale
A riportare l’attenzione sull’opportunità di investire nella Regione protagonista di questo articolo è anche David Bevilacqua, amministratore delegato di Cisco Italia e vice presidente di Cisco Corporate, che ricorda come oltre 90 delle 100 multinazionali straniere presenti in Italia abbiamo il proprio headquarter proprio in Lombardia.

Con questo, «al di là delle opportunità economiche e di sviluppo legate al fatto di avere una piattaforma ottimizzata per datacenter» a interessare al referente di Cisco non è tanto la locazione fisica dei centri di dati quanto «l’utilizzo che le aziende fanno dei servizi in cloud per aumentare la propria produttività e competitività».

Qui le criticità che sottendono al successo di questo modello tornano a riguardare l’infrastruttura digitale «che trova l’Italia in ritardo di almeno un decennio».
Citazione alla mano, «escludendo le realtà aziendali collegate in fibra, tra le imprese con più di 20 addetti in Lombardia la banda media è di 50 k in upload e di 150 k in download» afferma Bevilacqua parafrasando i dati enunciati da Francesco Sacco che, in qualità di docente dell’Università Luigi Bocconi, ha più volte denunciato un utilizzo medio delle imprese che vanno sul cloud che va dai 27 ai 91 Mb.

L’inadeguatezza dell’infrastruttura attuale non ha bisogno di ulteriori dati.
L’analfabetismo digitale che caratterizza il nostro Paese sì.

Anche perché gli ultimi dati parlano di un 35% di popolazione milanese priva di accesso a Internet che va, invece, inclusa «se l’obiettivo è divulgare la cultura digitale senza la quale le grandi infrastrutture poco possono contro il mancato uso delle nuove tecnologie».

Così, «in attesa che il servizio pubblico televisivo smetta di dar voce alle sole degenerazioni di Internet tradotte in pedofilia, pornografia e carte di credito clonate e divulghi, invece, l’utilizzo delle nuove tecnologie che possono aiutare le imprese a essere più produttive e la vita dei cittadini a migliorare» occorre chiedersi se quello del territorio lombardo è un potenziale totalmente esplorato.

In attesa che l’innovazione contamini il territorio
In qualità di presidente del consiglio di zona Monza e Brianza in Assolombarda, Bevilacqua denuncia, infatti, la mancata contaminazione tra le aziende innovative localizzate sul territorio e i cittadini che nello stesso territorio abitano.

Gli fa eco Carlo Maccari, assessore alla semplificazione e digitalizzazione della Regione Lombardia, nonché rappresentante delle Regioni italiane all’interno dell’Agenda Digitale, che a dispetto dei 41 milioni di euro stanziati per colmare un gap pari a 1,2 milioni di cittadini lombardi privi di Dsl, e un totale di 707 Comuni su 1.544 non coperti da Adsl, vede vanificati – o quasi – i propri sforzi da un divario digitale che «riguarda in via trasversale la piccola e micro impresa e i professionisti».

Il dato deriva dal fatto che, nelle zone caratterizzate dal divario digitale dove è stata portata la banda larga, «il numero degli abbonamenti che ci aspettavamo veder crescere in maniera esponenziale lo fa, invece, a una velocità irrisoria» denunciando un atteggiamento, comune a imprese, cittadini e professionisti, secondo il quale «chi ha fatto a meno del digitale fino a oggi è convinto di poterne fare a meno anche in futuro».

La strada tracciata non solo da Maccari passa, allora, da una Pubblica amministrazione «che crede nel percorso digitale abbandonando per prima le procedure cartacee che non vanno tradotte in video ma rivisitate nel flusso operativo se l’obiettivo è diffondere una cultura del digitale nel Pubblico che guarda al domani».

Così, in attesa di vedere se nel 2015 il piano messo a punto dalla Regione Lombardia affinché oltre 4 milioni di cittadini possano avere accesso alla banda ultra larga, a rispondere all’appello dovranno essere anche i servizi disponibili e «quel cloud della Pa, visto come una delle grandi opportunità di non frammentare un panorama Pubblico già caratterizzato, solo nella Regione Lombardia, da 12 Province, 1.544 Comuni e altrettanti Piani di Governo del Territorio, Regolamenti Edilizi e così via».

In tal senso, l’esempio portato da Corrado Sciolla, amministratore delegato di Bt Italia e France, guarda all’Inghilterra «dove il piano di sviluppo di rete in fibra per collegare due terzi della popolazione e la quasi totalità delle imprese è stato anticipato al 2014, per erogare 80 Mb simmetrici sui collegamenti e 200 servizi on demand da poco meno di 300 Mb dedicati alle piccole e medie imprese».

Con ciò, che la Lombardia sia un territorio confacente a una realtà telco come Bt lo dicono l’acquisizione del 100% di Albacom, cui ha fatto seguito due anni dopo la totalità di I.Net «il cui datacenter è punto di riferimento da oltre un lustro sul territorio lombardo erogando servizi di virtual datacenter anche nel resto d’Europa con un approccio al Private cloud in cui l’offerta Bt su aziende medio-grandi prevede l’outsourcing di tutti i servizi informatici e la gestione della rete».

Creare le condizioni ideali
Un vantaggio importante per le imprese interessate a ricevere un livello di servizio unico di disponibilità per l’utilizzo delle proprie applicazioni a prescindere dai sistemi informativi o dalla rete selezionata.

Certo della rivoluzione rappresentata dal cloud anche in termini di investimenti Capex, per Stefano Venturi, amministratore delegato di Hp Italiana, non è altrettanto scontato il rifacimento in terra italiana dei tre datacenter che la multinazionale statunitense da lui rappresentata possiede in Lazio (1) e in Lombardia (i restanti).
Il loro riadattamento basato su nuove tecnologie e altrettanto nuove strutture parla sì «di complessità ridotte del 97% e di consumi energetici a quota -89% per costi inferiori del 63%» ma senza dare alcuna rassicurazione su dove questi investimenti verranno consolidati.

«A oggi – conferma Venturi –, nonostante i datacenter rappresentino a tutti gli effetti un indotto importante e in grado di coinvolgere anche il tessuto universitario locale, a mancare sono le condizioni ideali. Occorre, dunque, non rimandare oltre gli investimenti a patto di poter contare su un’azione istituzionale coordinata che preveda un impianto normativo e giuridico in grado di tutelare nuove modalità di business e modelli imprenditoriali che supportino in tempi molto brevi l’apertura di fabbriche digitali in Lombardia e in Italia piuttosto che in altri Paesi europei».

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