Catania: Le imprese italiane devono diventare flessibili e innovative

Facendo il punto sulle attività a livello corporate e locale, il presidente e Ceo di Ibm Italia ha messo l’accento sulla scarsa propensione all’innovazione, soprattutto delle Pmi nazionali, ma ha anche ammesso errori nel modo in cui i vendor approcciano il mercato.

26 settembre 2003 Si può riassumere in un mix contraddittorio tra fatalismo e ottimismo lo stato d’animo che Elio Catania, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia, ha trasmesso nell’annuale disamina della realtà operativa della Numero Uno mondiale, sia a livello corporate che in riferimento alla situazione locale. «Bisogna prendere atto – ha esordito il manager – che il mercato informatico, anche in un futuro a medio termine, non potrà che offrire crescite moderate, lontane dai numeri ottenuti fino a pochi anni fa». Ciò non significa, ovviamente, che tutto sia destinato a restare fermo: «Ciò che conta, oggi, è soprattutto la produttività – ha ripreso Catania – e la tecnologia è un fattore di crescita, in questo senso. Così si spiega l’attuale recupero dell’economia americana, nonostante tutti gli scossoni subìti negli ultimi anni». Secondo i dati dell’Ocse, gli Usa hanno oggi un tasso di produttività doppio rispetto all’Europa e una metà di questo indice deriva dal contributo diretto dell’It.


In questo quadro negativo per il Vecchio Continente, l’Italia si colloca in coda alla lista della competitività. Com’è ben noto, all’atavica arretratezza concorrono non solo fattori congiunturali, ma soprattutto mancanza di cultura dell’innovazione legata alla tecnologia e, di conseguenza, una certa resistenza a investire, che di questi tempi si assomma alle ristrettezze di budget diffuse un po’ a ogni livello.
Nell’ottica Ibm, questo stato delle cose non implica necessariamente il pessimismo. Anzi, poiché il lavoro da fare è parecchio e la contropartita sarebbe l’estromissione dalla competitività internazionale, l’arretratezza va letta soprattutto nell’ottica delle opportunità di business per i vendor. «Portare l’uso della rete nei distretti industriali italiani, va vista come una possibile frontiera. Certo, occorre che gli imprenditori locali sviluppino una miglior propensione a condividere risorse e informazioni, ma anche il nostro ruolo conta. Dobbiamo essere capaci di trasmettere messaggi utili, evangelizzando anche sulle cose minime, come l’uso della posta elettronica, che è oggi radicato solo nel 2% delle Pmi nazionali». Implicita nel ragionamento è una valutazione critica anche del modo in cui l’offerta ha sin qui avvicinato le piccole e medie imprese, perlopiù con proposte basate sui prezzi e non sull’aggiornamento, con poca attenzione al valore. Non è che la situazione sia del tutto immobile, come dimostrano le collaborazioni che la stessa Ibm ha avviato con i distretti industriali di Vicenza (meccanica), Fermo (scarpe) e Prato (tessile), ma siamo solo agli inizi del percorso.


Ciò detto, Catania si è comunque mostrato moderatamente ottimista sul futuro dell’It in Italia: «Alcune categorie di grandi aziende, come le banche, stanno iniziando a reinvestire nei progetti e anche le Pmi, qua e là, stanno guardando nella stessa direzione. Un ulteriore segnale positivo arriva dalla Pubblica amministrazione. Non c’è oggi una tecnologia che da sola possa guidare il mercato, ma tante piccole evoluzioni che possono aiutare a eliminare fattori di costo, ottimizzare pezzi di processi o esportare attività non centrali». Proprio sulla Pa, il presidente di Ibm Italia ha ribadito l’opinione non del tutto positiva sull’operato di Consip, che fa gare basate sul prezzo e spezzettate per singoli componenti, quando invece sarebbe più utile proporle su progetti e soluzioni.

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