Home Gestione d'impresa Professioni ICT: per l'impresa 4.0 servono soft skill

Professioni ICT: per l’impresa 4.0 servono soft skill

La velocità del cambiamento non è un problema solo per le aziende, ma anche per chi ha il compito di formare le competenze. Intervenuto al convegno di Assinform sull’Impresa 4.0, Gaetano Manfredi, presidente Crui, la Conferenza dei direttori delle Università italiane, ha sottolineato le nuove esigenze della formazione. Partendo da quelli che definisce “i tre paradigmi di contesto: velocità del cambiamento, integrazione delle competenze e quantità dei dati” osserva che oggi quello che si impara diventa rapidamente obsoleto. Se è vero che il 40% delle opportunità tra dieci anni arriveranno da lavori che oggi non esistono, Manfredi ha spiegato che oggi formiamo giovani con competenze che non utilizzeranno in futuro. “Per questo c’è bisogno che i processi formativi anticipino i cambiamenti del mercato”.

Il rischio è di cadere nella teoria del popcorn (per qualche minuto sul fuoco non succede nulla e poi improvvisamente esplode. Ma in quei minuti sono partiti processi che non abbiamo visto) “accorgendoci che tutto è cambiato quando è troppo tardi”. Per questo è necessario formare competenze trans-disciplinari, integrate in percorsi formativi ad hoc, che rispondono a esigenze specifiche del mercato. Integrazione delle competenze significa che nei veicoli a guida assistita o autonoma lavorano insieme la parte meccanica, elettronica e Ict e nei sistemi biomedici si incrociano medicina, ingegneria dei materiali, meccanica, elettronica, Ict e altro ancora.

Soft Skill indispensabili

L’integrazione prevede però una grande importanza dei soft skill, “un’area dove i nostri studenti sono più deboli” che comprende “capacità relazionali, problem solving, competenze linguistiche e competenze digitali”. Per questo occorre anche cambiare il metodo di insegnamento passando dalla classica didattica frontale e quella più interattiva, lavorando sui piccoli gruppi. E poi c’è il problema dei dati. “Quando gestivamo dati tradizionali la fase predittiva era importante. Oggi invece prima abbiamo i dati e poi costruiamo il modello interpretativo”. Un passaggio che, afferma Manfredi, prevede un approccio mentale diverso del quale devono tenere conto anche i processi formativi che devono abituare a pensare a modelli deduttivi. “Immaginare il futuro è più difficile che viverlo”.

 

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