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Cloud e big data spingono il digitale

Il futuro digitale sta arrivando a grande velocità”. Giancarlo Capitani di NetConsulting Cube, al convegno milanese organizzato da Assinform,  presenta la situazione del digitale italiano e alternandosi con Alessandro Perego del Politecnico di Milano racconta quali sono le evoluzioni della situazione italiana.

Il mercato cresce con i segmenti emergenti che sono cloud (+23%), mobile (14%), big data (23%), Iot (15%) e social media (17%) . Non si tratta di crescite individuali ma di risultati che si alimentano l’uno con l’altro”. E le previsioni da qui al 2018 sono sempre positive con il traino di cloud e big data.
Per quanto riguarda i settori di utenza nel periodo 2016-18 l’industria cresce mediamente di oltre il 2%, le banche superano il 3%, le assicurazioni sfiorano il 4%, la Pubblica amministrazione centrale sta sul 2,5% di crescita, mentre l’unico segnale negativo arriva dagli enti locali che scendono nel 2016 del 2% per poi calare ancora dell’1,4 e dell’1%. A spingere sugli investimenti sono soprattutto le grandi imprese +2,8% nel 2016 sul 2015, con le medie (+1,7%) e soprattutto le piccole imprese +0,6% che risultano ancora poco coinvolte dalla trasformazione digitale.

Ancora bassa l’adozione dei big data

Esaminando in dettaglio le cifre si scopre però che i big data, come ha spiegato Perego, hanno ancora un basso grado di adozione e il loro uso “riguarda soprattutto dati strutturati, transazionali, mentre il 90% dei dati in circolazione sono destrutturati. Dietro i big data si nasconde poco” è l’analisi del Politecnico, così come ancora deludenti sono le cifre del commercio elettronico business to business che riguardano appena il 10% del totale transato fra le aziende.

Di fronte a una certa maturità dell’uso del cloud, che ha un tasso di adozione del 20%, bisogna poi spingere sull’utilizzo del mobile che potrebbe portare a un incremento di produttività quantificabile in dieci miliardi di euro.
Il panorama, riassume Capitani, è quello “di un paese dove le imprese si muovono con velocità ma a macchia di leopardo per settori, geografie e dimensioni d’impresa con importanti gap interni da colmare”.

Manca cultura imprenditoriale verso la digitalizzazione

Il ritardo riguarda soprattutto settori come Pubblica amministrazione, assicurazioni, industria e grande distribuzione a fronte di banche, telco, media e utilities che hanno fatto passi avanti. “Occorre vincere un conservatorismo dovuto a limitazioni di budget e soprattutto mancanza di cultura imprenditoriale verso la digitalizzazione” afferma Capitani che ricorda l’arretratezza delle Pmi nostrane ora costrette a passare da una fase di sotto informatizzazione direttamente al digitale. Rilevante è anche la mancanza di profili professionali con 135.000 posti da colmare entro il 2020.

Il problema – aggiunge il docente del Politecnico – non è automatizzare la fabbrica, ma rileggere l’impresa alla luce di un modello più orientato al consumatore, con prodotti customizzati, più servizi e interconessione dei fattori produttivi”. Le imprese però sanno ancora poco dello smart manufacturing anche se la crescita è significativa. Il 25% possiede almeno tre soluzioni, ma il problema non è di riempire tutti i buchi della tecnologia “ma avere connessione, soluzioni integrate”.
E ben vengano gli aiuti basta che non siano a pioggia perché oggi c’è bisogno di misure mirate per settori e filiere. La digitalizzazione ha bisogno di pianificazione.

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