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L’Industria 4.0 secondo Carlo Calenda

Un occhio all’economia e uno alla politica. Parole pacate nei confronti dell’Europa che ha bisogno di un new deal per quanto riguarda gli investimenti (e il piano Juncker?) e nessuna concessione alla retorica renziana. Carlo Calenda, l’uomo che anche Pierluigi Bersani vedrebbe bene come presidente del consiglio, si presenta alla platea di Italia digitale, l’evento organizzato a Milano dal Corriere della sera per rispondere alle domande di Daniele Manca, vicedirettore del quotidiano di via Solferino.
L’esordio è subito sull’Industria 4.0 il provvedimento che dovrebbe permettere l’entrata in grande stile del digitale nelle imprese italiane. “Ci siamo posti due obiettivi. Il primo è quello della digitalizzazione delle case e degli uffici, ma vogliamo che ci sia anche una profonda digitalizazione delle imprese in particolare delle imprese manifatturiere e in particolare di imprese come quella della meccanica”. L’industria manifatturiera, prosegue, è investita da una grande rivoluzione che usa il digitale, ma non solo, per cambiare a 360° il modo in cui si gestisce un’impresa, è l’industria 4.0.

La scelta degli incentivi automatici

Partendo dall’analisi della situazione il Mise ha dato un’occhiata a quanto è stato fatto in giro per il mondo, in Germania soprattutto. “Ma noi siamo diversi dalla Germania per struttura industriale. Per questo abbiamo cancellato gli incentivi a bando per andare su incentivi automatici di natura fiscale. In questo modo per gli investimenti su ricerca e innvoazione e investimenti di frontiera abbiamo messo a disposizione 13,5 miliardi nel 2017 che non vedremo nella finanziaria perché sono crediti d’imposta e superammortamenti. Questo significa che vengono concessi se l’imprenditore investe e l’impatto di finanza pubblica si avrà nel 2018 o più avanti. Questo è ottimo per l’allocazione del capitale perché anticipo l’effetto positivo”. Dal punto di vista dei tre anni della legge di bilancio gli incentivi valgono 20,4 che saranno erogati senza passare dal ministero per lo Sviluppo economico. E’ un fatto nuovo – sottolinea – perché dimostra la nostra fiducia nelle imprese. Non facciamo un bando dove il ministero sceglie la tecnologia, ma diciamo alle imprese di investire di recuperare gli investimenti persi per la crisi scegliendo le tecnologie all’interno di gruppi indicati dal ministero. “Poi però non dovete venire al Mise a farvi certificare perché così funzionavano gli incentivi a bando ma fate voi. Questo è un metodo molto più efficiente e dà fiducia alle imprese. Credo sia l’unico modo di fare politica industriale oggi”.

L’esempio di Industria 2015

In questo modo, prosegue, nessuna impresa sarà avvantaggiata. Perché il problema non sta neanche nel disporre di un buon ufficio legale. In passato “Industria 2015 è stato uno sforzo pregevole di politica industriale basato sugli incentivi. Però dopo dieci anni il 5% dei fondi previsti sono stati spesi, quei soldi in pratica non li ha presi nessuno”. Le criticità però esistono. Intanto per fare investimenti oggi bisogna avere coraggio “perché la situazione economica rimane molto difficile, ma non abbiamo alternative bisogna premiare chi ha il coraggio di investire”. Perché “o si ricomincia a crescere qualitativamente bene in Italia e in Europa o il populismo vincerà, perderemo la sfida del futuro”, sentenzia Calenda.L’Italia poi è passata attraverso una guerra dal punto vista economico. “Siamo entrati nella crisi in una fase in cui non ci occupavamo dell’industria e abbiamo pagato il conto in modo devastante perdendo il 25% della base manifatturiera anche se l’anno scorso abbiamo registrato il maggior export di sempre. Cosa dice questo dato? Che le società sono polarizzate fra vincitori e vinti chi vince vince molto chi perde perde tutto. L’innovazione tecnologica è un fenomeno polarizzante e per contrastare la polarizzazione estrema bisogna investire tantissimo in educazione, favorire investimenti privati fare investimenti pubblici”. Tutto questo evitando approcci ideologici trascurando gli effetti negativi. “Questi sono processi giganteschi e contradditori che bisogna governare. La gente è spaventata dalla modernita e non ha tutti i torti”.

I Competence center

Dal punto di vista della creazione del sistema, conclude il ministro per lo Sviluppo economico, abbiamo cercato di dare risposte con i competence center che dovrebbero diventare il nostro Fraunhofer senza inventare un altro ente. “Abbiamo preso le eccellenze universitarie dandogli delle specializzazioni”. Sono stati inclusi inizialmente i Politecnici di Milano, Torino e Bari oltre alla Sant’Anna di Pisa. Poi sono arrivate le università del Veneto che hanno deciso di unire le loro competenze. Nella testa delle università c’è però l’idea della rappresentanza regionale. Ma ma non funziona così, vale la specializzazione settoriale non regionale. In questo modo le imprese si muoveranno per andare da Torino nel Veneto in cerca delle competenze. L’idea che sia più importante la prossimità invece dell’eccellenza è uno dei rischi che corriamo“. E da gennaio, in collaborazione con il ministero del Lavoro, ci si occuperà anche di formazione. Industria 4.0 non è solo tecnologia.

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