Home Gestione d'impresa Tecnologia e lavoro: un conflitto che non c'è

Tecnologia e lavoro: un conflitto che non c’è

La produttività è il problema dell’economia italiana. L’indicatore che misura l’efficienza del processo produttivo tra il 1995 e il 2015 è stata decisamente inferiore alla media UE (+1,6%). Tassi di crescita in linea con la media europea sono stati invece registrati per Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%), ma l’Italia è rimasta indietro.

Nonostante la crescita degli altri Paesi, nel mondo si è assistito a un rallentamento della crescita della produttività tanto che gli economisti discutono se siamo entrati in una nuova era di stagnazione.

Produttività aiutata dalla tecnologia

Ora arriva un aiuto potenziale, sotto forma di robotica avanzata, apprendimento automatico e intelligenza artificiale. I benefici in termini di prestazioni per le aziende sono convincenti e non solo (o anche soprattutto) in termini di riduzione del costo del lavoro: l’automazione può anche portare a modelli di business completamente nuovi, e miglioramenti che vanno al di là delle capacità umane, come l’aumento della produttività e della qualità e la crescita della velocità di risposta in una varietà di settori industriali.

Il vantaggio è che l’adozione di queste tecnologie inciderà sul mondo del lavoro. Non meno significativi dei posti di lavoro che saranno trasferiti sono i posti di lavoro che cambieranno – e quelli che saranno creati.

Una nuova ricerca dell’istituto McKinsey Global suggerisce che circa il 15% della forza lavoro globale potrebbe essere spostato entro il 2030 in uno scenario intermedio, ma che i posti di lavoro probabilmente creati compenseranno quelli perduti. Vi è un’importante condizione: che le economie sostengano una crescita economica e un dinamismo elevati, accompagnati da forti tendenze che stimoleranno la domanda di lavoro. Ciononostante, tra 75 milioni e 375 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero dover cambiare categoria professionale entro il 2030, a seconda della rapidità di adozione dell’ automazione.

Non è una piccola sfida. I posti di lavoro acquisiti richiederanno un livello d’istruzione più elevato e livelli più avanzati di comunicazione e capacità cognitive, in quanto il lavoro che richiede competenze note come l’elaborazione o la raccolta dei dati sono sempre più spesso appannaggio delle macchine. Le persone potranno utilizzare macchine sempre più capaci, che fungeranno da partner di lavoro e assistenti digitali, e richiederanno uno sviluppo e un’evoluzione continua delle competenze. Nelle economie avanzate, che la ricerca mostra essere le più colpite, la pressione al ribasso sui posti di lavoro a salario medio crescerà probabilmente, esacerbando la già tormentata questione della polarizzazione del lavoro e del reddito, anche se nelle economie emergenti l’equilibrio tra posti di lavoro persi e posti di lavoro acquisiti sembra essere più favorevole nel breve-medio periodo. E l’effetto netto è probabilmente un’accelerazione della crescita della classe media.

Le società di ogni parte del mondo dovranno compiere scelte importanti in risposta a queste sfide. Alcuni potrebbero essere tentati di cercare di fermare o rallentare l’adozione dell’automazione (in campagna elettorale si è parlato anche di una tassa sui robot). Anche se ciò fosse possibile significherebbe rinunciare ai benefici effetti sulla produttività che la tecnologia porterebbe con sé.

Anche altre opzioni sono meno desiderabili. Tornando alla crescita bassa del Pil, il percorso di crescita a basso livello occupazionale che abbiamo seguito subito dopo la crisi finanziaria mondiale significherà stagnazione – e il continuo crescente malcontento per i redditi che non avanzano e le disuguaglianze di reddito che continuano a crescere. Inoltre, una rapida automazione che porti solo una crescita della produttività basata sull’efficienza invece che un’espansione a valore aggiunto, e quindi non crei posti di lavoro, potrebbe suscitare disagio sociale.

L’opinione degli studiosi è che dovremmo abbracciare le tecnologie di automazione per i vantaggi in termini di produttività che ne deriveranno, anche se affrontiamo in modo proattivo le transizioni della forza lavoro che ne accompagneranno l’adozione. Il compromesso tra produttività e occupazione è in realtà inferiore a quanto potrebbe sembrare a prima vista, dal momento che il Pil rimbalza e che la produttività che porta con sé aumenterà i consumi e quindi la domanda di manodopera, come ha sempre fatto in passato. Questo effetto sarà più forte e più rapido se i guadagni in termini di valore aggiunto si trasformeranno in reddito nelle mani di coloro che probabilmente lo spenderanno. Un’ampia distribuzione dei guadagni in termini di reddito tradurrà quindi la crescita della produttività in crescita del Pil.

La robusta crescita del PIL

Sul versante dell’ offerta, la chiave sarà affrontare una serie di questioni che aiuteranno a superare le transizioni. Come osservato in precedenza, un prerequisito sarà garantire una robusta crescita del Pil, in quanto senza di essa non vi sarà crescita occupazionale. Le altre priorità riguardano un’attenzione molto più precisa alle competenze e alla formazione. Ciò significa invertire la tendenza alla diminuzione della spesa pubblica per la formazione, che è evidente in molti paesi dell’ Ocse. S

ignifica anche un ruolo rafforzato per le aziende, che saranno in prima linea nell’adozione dell’automazione e conosceranno meglio e più velocemente quali competenze sono richieste.
In secondo luogo, dovremmo considerare nuovamente la possibilità di rendere più fluido il mercato del lavoro, anche attraverso un uso più attivo delle tecnologie digitali per favorire l’incontro tra domanda e offerta e stimolare la crescita del lavoro indipendente.

Il governo, le imprese, le istituzioni educative e le organizzazioni del lavoro devono collaborare per garantire che gli operatori storici e i nuovi entranti nel mercato del lavoro abbiano una conoscenza accurata e lungimirante del mix in evoluzione di competenze e requisiti di esperienza.

La terza priorità dovrebbe consistere in una rivalutazione del reddito e del sostegno alla transizione per aiutare i lavoratori alle prese con il passaggio a nuove occupazioni. La Germania ha dato l’esempio rinnovando la propria agenzia del lavoro e ponendo l’accento sull’acquisizione di competenze. Il suo tasso di partecipazione al lavoro è aumentato di 10 punti percentuali dalla riunificazione, superando il livello degli Stati Uniti.

Per l’Italia purtroppo bisogna rifarsi all’Employment Outlook dell’Ocse 2017 secondo il quale la Penisola si ritrova poco sopra la Grecia, con un rapporto tra popolazione di 15-74 anni e occupati intorno al 50% destinato a rimanere tale alla fine del 2018, quando invece Atene sarà salita dal 46 al 48%. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione,  dopo una significativa diminuzione nel 2014 e una generale stabilizzazione negli ultimi due anni, è diminuito nuovamente in aprile. Tuttavia, con l’11,1% rimane il terzo tasso più alto tra i paesi Ocse, 4,5 punti percentuali in più rispetto al livello pre-crisi.

 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome

Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato sulle novità tecnologiche
css.php