Home Lavoro Lo skill gap ICT aumenta, mancano ingegneri

Lo skill gap ICT aumenta, mancano ingegneri

Complice anche lo sviluppo di nuove tecnologie come blockchain, l’eterno problema dello skill gap italiano invece che diminuire si amplifica.

Il divario tra domanda e offerta di competenze ICT passerà dal 9% del 2015 al 18% nel 2020: a fronte di 28mila nuovi posti di lavoro creati nel 2016 e altri 57mila richiesti fra il 2017 e il 2018, nel nostro Paese fra tre anni 135mila posizioni resteranno scoperte.

I dati sono di Modis, società di The Adecco Group specializzata nella consulenza in ambito ICT e ingegneristico, secondo la quale negli ultimi tre anni, i siti web italiani dedicati alla ricerca di lavoro hanno raccolto 175mila annunci di aziende in cerca di professionisti dell’ICT, con una crescita annua media del 26%.

Si tratta soprattutto, per i due terzi, di offerte di lavoro per sviluppatori, system analyst e Ict consultant. Le ricerche nel 62% dei casi riguardano laureati e per il 38% diplomati. Il lavoro di recruitment però non è semplice visto che il 40% delle aziende lamenta la carenza di skill dei candidati che non possiedono i requisiti richiesti.

Esiste infatti una richiesta inevasa di oltre quattromila ingegneri informatici di fronte a una offerta di poche centinaia di studenti che si laureano ogni anno. Il deficit fra i laureati è stimato, con una forchetta abbastanza ampia, fra le 4.400 e le 9.500 unità, mentre fra i diplomati le cifre dello squilibrio parlano di una carenza di 8.400 unità.

Tutto questo non è compensato dall’aumento di iscrizioni nelle facoltà che riguardano il mondo Ict. Anche perché di fronte a un aumento delle immatricolazioni dell’11% rimane comunque un elevato tasso di abbandono che arriva al 60%.

Lo skill gap incide sulle performance

Questo si riflette anche sulle performance delle aziende. L’esempio arriva dai servizi di business analytics e big data per i quali si stima una crescita del 50% ma non in Italia dove ci si ferma al 21%. Anche perché è molto difficile trovare personale adeguato per lo sviluppo dei progetti.

La richiesta di professionisti ICT cresce mediamente del 26% ogni anno, con punte del 90% per quanto riguarda i nuovi profili come il business analyst o tutti quelli relativi ai big data, a sottolineare l’evoluzione verso l’azienda data-driven.

Altre figure richieste sono gli specialisti di cloud computing, cyber security, IoT, service development, service strategy, robotica o intelligenza artificiale per i quali la crescita media arriva al 56%.

Figure più classiche come sviluppatori, system analyst e Ict consultant rappresentano più di due terzi della domanda totale.

Ma le professionalità più richieste sono sicuramente quelle dei programmatori, a cui seguono analisti programmatori, collaboratori informatici, help desk specialist, tecnici hardware/ software, web developer, analisti funzionali e system engineer. Importante anche il technical consultant.

 

1 COMMENTO

  1. Salve,
    Lavoro nel mondo ICT e sono molto critico su di questi numeri. Le università non possono e – secondo me non devono fornire laureati così specializzati- poiché un mutamento del mercato potrebbe rendere inadoperabili le ultra specifiche competenze.
    Le aziende, e in più in generale penso a consorzi di aziende, dovrebbero formare puntualmente sui temi di interesse, lavorando sui candidati che si devono presentare con un’ottima preparazione; questo deve essere il compito delle università. Immagino ad una formazione composta da training on the job, collaborative learning ed eventualmente – in minima parte – in aula. Il beneficiario di tale investimento – con possibili tutele con penali a favore dell’azienda – non è solo il lavoratore ma soprattutto l’azienda perché:
    non perde competitività, anzi può raggiungere nuovi target del mercato
    diviene più appetibile per i lavorati migliori, per la possibilità di raggiungere skill sempre più alti.
    In un articola comparso su singularityhub (
    https://singularityhub.com/2018/01/19/a-blueprint-for-building-a-collaborative-startup-culture/?utm_source=Singularity+Hub+Newsletter&utm_campaign=2f79e74494-Hub_Daily_Newsletter&utm_medium=email&utm_term=0_f0cf60cdae-2f79e74494-58399537#sm.0000d5i8v71935fbpzomdaouwptv4 ) è scritto:
    CFO: “Cosa succede se investiamo nello sviluppo dei nostri dipendenti e se ne vanno?”
    CEO: “Cosa succede se non lo facciamo, e rimangono?
    La risposta interrogativa del CEO è sintesi della miopia di investire di molte realtà imprenditoriali mondiali. Spero, anzi confido, in un cambiamento radicale a breve termine.

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