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Quando il gioco si fa duro

Gli iPad delle ultime generazioni hanno abbastanza potenza e una qualità grafica da superare senza problemi in capacità di coinvolgere le console giochi portatili, e ormai anche i fanatici delle console hanno capito che per certi tipi di videogiochi il (non tanto) piccolo schermo dell’iPad basta e avanza, complice anche il fatto che il multiplayer online si è diffuso e affermato pure sul tablet di Apple. Sull’App Store ci sono migliaia di giochi, ma non tutti sono in grado di spiccare allo stesso modo: qui ne descriviamo una quindicina tra i più significativi degli ultimi mesi (e non solo), segnalando quelli che secondo noi hanno dimostrato di avere una marcia in più per qualità grafica, originalità del gameplay o concezione di fondo.

Il gioco top: The Room
Fireproof Games ha fatto proprio un bel lavoro con The Room, tanto che il gioco si è guadagnato il primo posto in molte classifiche di siti dedicati ai videogiochi e anche, come ciliegina sulla torta, il titolo di miglior gioco per iPad all’interno della rassegna Il Meglio del 2012 curata direttamente da Apple. Tante buone premesse che la prima volta che ci troviamo di fronte al gioco sembrano anche un po’ esagerate: in fondo è un rompicapo basato sull’analisi degli oggetti, come ce ne sono stati tantissimi sia su Mac e sia poi su iPad.
E invece bastano un paio di minuti nel gioco per esserne conquistati, specie se come consigliano in molti si collegano gli auricolari al tablet e ci si immerge ancora più profondamente nella dinamica del gioco, che offre sensazioni paragonabili a quelle che i vecchi utenti Mac hanno provato nell’esplorazione dei mondi di Myst e Riven. Qui non ci sono in realtà mondi da scoprire: gli enigmi da risolvere sono tutti concentrati in una stanza e negli oggetti che man mano dovremo aprire per trovarci di fronte ad altri enigmi ancora. Tutto è curatissimo del punto di vista grafico e la resa tridimensionale, specie su display Retina, è dettagliata al massimo. La colonna sonora e i rumori d’ambiente coinvolgono ancora di più il giocatore, che si trova davanti ingranaggi da comprendere, cassetti segreti da aprire, vecchi proiettori da far funzionare nuovamente, codici da decifrare e molti altri enigmi di ogni tipo. Tutto si affronta a colpi di dita ma a essere coinvolta è soprattutto la nostra materia grigia, perché gli indizi per risolvere le decine di piccoli enigmi che costituiscono i nodi degli enigmi principali sono tutti sempre davanti a noi, c’è solo da capire quali sono e come interpretarli. Fortunatamente c’è una limitata funzione di aiuto che volendo ci dà qualche indicazione utile, ma – sempre fortunatamente – mai abbastanza chiara da toglierci il piacere di scoprire alla fine noi la soluzione.
Pollice su anche per l’ambientazione: c’è una storia che ha portato ai meccanismi segreti che stiamo affrontando, storia che non viene detta chiaramente all’inizio ma che si scopre passo passo da brandelli di documenti. E anche qui l’ispirazione di Myst appare evidente, anche se nel caso di The Room la storia di fondo non è poi così funzionale alla soluzione degli enigmi. I tanti lati positivi del gioco lo rendono assolutamente consigliabile, l’unico punto in cui Fireproof poteva fare qualcosa di meglio è la conclusione del gioco stesso: dopo tanto tempo speso a risolvere enigmi le nostre aspettative inevitabilmente crescono e superano evidentemente l’idea originaria della software house. Ma c’è spazio anche per una nuova puntata del gioco, che in molti si aspettano nel corso di quest’anno.

Arriva l’ora zero
Guerre nucleari, terrorismo globale, mercenari, rapimenti, esplosioni… Difficile che in Modern Combat 4: Zero Hour si senta la mancanza di qualche occasione in cui sia necessario prendere in mano un fucile mitragliatore e sterminare un buon numero di nemici. Dal che si capisce subito come il gioco sia indicato innanzitutto per un pubblico ben adulto, poi in modo particolare per gli appassionati del suo genere, perché i cosiddetti military shooter raramente brillano per la trama e si giocano essenzialmente per l’azione. Va detto che in Zero Hour si è almeno cercato di rendere più variegato del solito lo svolgersi del gioco, evitando la solita sequenza di missioni ripetitive. Così le missioni di Zero Hour ci vedono vestire panni diversi e talvolta addirittura antagonisti, vivendo ad esempio lo stesso scenario dal punto di vista del soldato fedele o del terrorista traditore.
A parte questo la modalità a singolo giocatore ha una impostazione classica e in linea con le altre puntate della saga di Modern Combat. I controlli virtuali sono abbastanza efficaci ma non al livello della giocabilità offerta da un vero gamepad, i pulsantini per le funzioni specifiche (correre, sparare, lanciare granate e via dicendo) sono ben posizionati. L’unico neo è che nelle fasi di attacco si finisce per muovere la visuale sparando in continuazione, con un certo spreco di munizioni. Molto buone le texture grafiche, più deboli solo nella definizione dei volti. La dotazione di armi è ampia e il meccanismo degli acquisti in uno store integrato permette di potenziarla per un certo lasso di tempo. Non si tratta di acquisti in-App, si basano sulla spesa di crediti virtuali che si acquisiscono procedendo nelle varie parti del gioco.
Un plus immancabile in questo tipo di giochi è la modalità multigiocatore, che permette di costruire sfide con altri giocatori presenti online o con altri possessori di iPad più vicini a noi, ossia collegati alla nostra rete Wi-Fi. Il multiplayer è uno dei principali punti di forza di Zero Hour, dato che è stato progettato in modo da garantire buone possibilità di personalizzazione del personaggio e uno schema di specializzazioni con diversi gradi di esperienza.

Dalla terra al cielo
Nell’eterna dicotomia militare tra chi si sporca le mani sul campo e chi preferisce fare pulizia chirurgica (si fa per dire) dal cielo, Modern Combat lascia il passo a Sky Gamblers: Air Supremacy, non a caso uno dei giochi che Apple ha portato sul palco in occasione di uno dei suoi eventi di lancio. Complessivamente questo titolo ha una caratterizzazione più arcade che di bellico fedele alla realtà. In particolare la fisica del gioco è quantomeno “tollerante” e ci si può scatenare in acrobazie che in un gioco più fedele alla realtà ci porterebbero inevitabilmente allo schianto. Non si tratta di un difetto del gioco ma della sua caratterizzazione: Sky Gamblers punta a divertire con un mix di azione, velocità e obiettivi da raggiungere che ci vengono proposti in rapida successione all’interno di una delle varie missioni principali. Man mano che acquistiamo punti ed esperienza sblocchiamo nuovi velivoli e accediamo alle missioni successive.

Come per Modern Combat, anche in Sky Gamblers la storia che fa da sfondo alle nostre peripezie aeree conta fino a un certo punto. Meglio, perché è piuttosto confusa: iniziamo il gioco come membri di un non ben definito esercito ma quasi subito dobbiamo unirci a un gruppo di piloti veterani (gli Sky Gamblers, appunto) per cercare di capire chi stia organizzando attacchi militari su larga scala in tutto il mondo. Per capirlo a noi viene chiesto di svolgere vari tipi di missioni che comprendono soprattutto la distruzione di obiettivi militari e la difesa di convogli o altri bersagli. La grafica dei velivoli e degli scenari d’alta quota è uno dei punti forti del titolo, in particolare perché viene accoppiata a un gioco molto rapido e fluido anche su iPad non recentissimi. Convincono meno le texture degli elementi a terra, ma c’è da dire che non avremo poi tanto tempo per gustarcele. Altri punti di merito di Sky Gamblers stanno nella possibilità di dare comandi, sia pure molto essenziali, agli altri membri della nostra squadriglia e in una sezione multiplayer ben riuscita. Oltre alla classica modalità Campagna, chi voglia giocare da solo ha a disposizione anche alcune sfide predefinite e delle modalità di gioco che sono slegate dallo svolgersi degli eventi del filone principale.

Mordi l’asfalto
Dici Asphalt e gli appassionati del genere “guida spericolata” sanno benissimo cosa aspettarsi, perché le varie versioni di questa serie seguono tutte una impostazione comune e molto apprezzata. Si tratta, va spiegato subito, di un titolo di guida con una netta impostazione arcade e pochissimo orientato alla simulazione realistica: se così non fosse le gare di Asphalt durerebbero assai poco con tutti i partecipanti, reali e virtuali, distrutti alla terza o quarta curva.
Asphalt 7: Heat può essere considerato come una versione migliorata e potenziata del precedente Asphalt 6 Adrenaline: le piste su cui gareggiamo sono praticamente le stesse e il gameplay è il medesimo, in più ci sono alcuni aggiustamenti grafici e soprattutto una dotazione di vetture più ampia, con varie marche prima assenti (gioiranno soprattutto i fan Alfa Romeo e Ferrari) e alcuni modelli di introduzione recente. Per il resto, come accennato, nessuna nuova e quindi buona nuova: la guida adrenalinica che contraddistingue Asphalt da sempre è ancora l’elemento portante del gioco. Asphalt si struttura in una successione di gare in cui ci vengono presentati diversi obiettivi. Ci può essere chiesto semplicemente di arrivare primi, ma anche di derapare per un certo numero di metri, evitare di farci eliminare in gare a tempo, eliminare fisicamente il maggior numero di avversari. Tutto questo si traduce, semplificando, nel guidare la nostra vettura il più velocemente possibile lungo i percorsi cittadini che dovremo affrontare, evitando di distruggere il nostro mezzo contro il traffico o gli ostacoli del tracciato. Non mancano power-up velocistici e monetari, necessari perché man mano che andiamo avanti nel gioco risulterà necessario avere vetture decisamente più performanti di quelle iniziali. Asphalt 7 è sempre coinvolgente e diverte, anche perché il gioco si fa più difficile senza diventare mai impossibile. La grafica è ottima, il gameplay è fluido e quando ci si stanca della modalità Carriera c’è una modalità multiplayer con altri giocatori online o in locale per scontri in Wi-Fi. Pollice su anche per il meccanismo degli acquisti in-App: ci sono ma non è indispensabile usarli, si può procedere nei vari livelli del gioco anche senza spendere denaro vero, c’è solo da avere un po’ di pazienza.

Correre sul serio
Anche Real Racing 2 HD appartiene al genere dei giochi di corsa più orientati all’arcade che al realismo, ma rispetto ad Asphalt c’è un minimo tentativo di mantenersi fedeli alla realtà delle cose e di adottare una fisica almeno plausibile, se non proprio realistica. La struttura del gioco è più variegata e prevede diversi campionati che a loro volta si suddividono in una sequenza di gare di vario genere: corse semplici, testa a testa, sottocampionati con tre-quattro percorsi singoli. A ciascuna gara si può partecipare solo pagando un gettone di presenza e a condizione che si abbia una vettura di un certo tipo e si siano già superate altre gare. A seconda della nostra posizione nella classifica d’arrivo guadagneremo sia denaro sia punti fama, che ci apriranno le porte di altre gare a invito.
La dinamica di Real Racing è quindi quella di posizionarci bene nelle gare che man mano ci vengono proposte, cosa abbastanza semplice all’inizio ma poi via via più complicata, anche se il gioco ha una curva di apprendimento molto morbida e la sua difficoltà si può ottimizzare impostandola a livello globale. Per andare avanti conta guadagnare denaro e farsi un proprio garage ben nutrito di vetture: lo si fa abbastanza tranquillamente anche senza ricorrere agli acquisti in-App, specie se si completa il primo giro di campionati nella difficoltà più semplice. I controlli sono ben fatti (è uno dei pochi giochi di guida che usano bene l’accelerometro) e la grafica è piacevole anche se non eccelsa nelle texture ambientali. Pollice giù per i replay delle gare, che non si possono bloccare e che hanno più di un problema grafico. È prevista anche una modalità di gioco multiplayer, con avversari “estratti” da Internet o presenti con il loro iPad sulla nostra rete locale Wi-Fi.

Lineare ma impegnativo
C’era una volta Osmos HD: chi se lo ricorda avrà presente la sua meccanica di gioco, in cui delle “cellule” dovevano crescere sino a un certo livello senza urtare le altre proprio nel momento in cui aumentavano di dimensioni. Prendete Osmos HD, eliminate l’ambientazione da laboratorio di biologia e trasformate la sua grafica in qualcosa che sembra preso da un testo di minimalismo grafico alla Bauhaus: ecco una descrizione sintetica di Hundreds, un po’ troppo sintetica per dare merito a un gioco che all’inizio sembra banalissimo ma che dopo qualche livello si dimostra un ottimo esercizio mentale.
Il gameplay in effetti ha un principio molto semplice: sullo schermo dell’iPad ci sono alcuni cerchi grigi che possiamo far aumentare di dimensione toccandoli; lo scopo del gioco è appunto far crescere i cerchi fino a raggiungere, tutti insieme, la “dimensione” 100. Mentre i cerchi crescono si colorano di rosso e il gioco ha una sola regola: if they touch when red then you are dead, ossia quando un cerchio cresce non deve toccare niente di tutto quello che si vede sul display. È semplice nei primi livelli, che fanno anche da tutorial, poi diventa sempre meno immediato far crescere opportunamente dei cerchi che si muovono, si urtano, sono colpiti da altri elementi “accessori” o crescono solo se toccati a coppie secondo uno schema preciso, o cerchi con valori negativi che bisogna far rimpicciolire prima di crescere. E via dicendo, perché di livello in livello vengono aggiunte nuove difficoltà. Il tutto è completato da una colonna sonora ambient-elettronica che aumenta l’immersività del gioco e che conviene godersi utilizzando degli auricolari e non l’altoparlante integrato nell’iPad. I livelli da superare sono, tanto per restare in tema, cento e richiedono una buona combinazione di ragionamento, destrezza e velocità. Anche e soprattutto per questo Hundreds è un gioco longevo: prima di arrivare in fondo ce ne vuole.


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