Mainframe, economia allo stato solido

Le aziende oggi cercano di avere conti in ordine, sicurezza e affidabilità. Per il general manager di Ibm, Robert Hoey, nelle corde del mainframe ci sono tutte e tre le capacità.

Da un po’ di tempo si sta registrando un aumento di attenzione nei confronti del mainframe, a più livelli. Ibm da quarant’anni ne incarna evoluzioni, sorti, posizionamenti, critiche, dubbi e successi, e ora lo sta proponendo come sistema anticrisi, capace di fare economie di scala e dare senso di solidità. Altre realtà, come Ca, vi imbastiscono strategie di sviluppo di business “a-la-2.0”. Diversi analisti ne rilevano l’aumento di impiego, misurando i Mips erogati nel mondo.

Quindi il mainframe, non solo è ancora una realtà, ma ha pure un grande futuro? Per cercare di capirlo, abbiamo incontrato Robert Hoey, Gm Major markets del System & Technology group di Ibm, di passaggio in Italia.

Manager pragmatico, Hoey non si nasconde dietro gli slogan se c’è da affrontare il problema del costo di un sistema di tale portata. Piuttosto invita ad avere una visione più aperta, scevra da condizionamenti di pianerottolo, ma orientata al bene del palazzo, del sistema.

Hoey crede che il pendolo dell’It, in azione ormai da anni, complice la congiuntura abbia portato il mainframe ad avere un ruolo di centralità per quelle aziende che hanno carichi elaborativi consistenti. La chiave per comprenderne il nuovo valore, alla luce delle esigenze economiche insorte, è proprio quella di rapportare la macchina con la popolazione di riferimento. Un sistema per molti, forse per tutti, è l’ambizione del mainframe. Se sia fondata, ce lo devono dire gli utenti.

Semplicemente, perché oggi il mainframe è importante?

Ci sono tre grandi motivi: gli economics, la sicurezza, l’affidabilità. Vediamoli.
Economics: per capire il valore di un sistema ne va valutato il costo per transazione. Noi possiamo dimostrare che quello del mainframe è il più basso ottenibile se si gestiscono workload multipli. In sostanza, qui si deve parlare di economie di scala. Sicurezza: basta dire che oggi quello che conta è che i dati non siano compromessi. E il mainframe assolve brillantemente la missione. Affidabilità: chi fa riferimento a un’alta popolazione di utenti, come le banche o la Pa, ha bisogno dell’alta affidabilità del mainframe. E che non sia una teoria, ma un fatto, lo dimostrano i Mips su mainframe mondiali, che crescono in continuazione.

Quanto oggi mainframe vuol dire consolidamento, apertura, virtualizzazione, innovazione?

La metà dei mainframe installati è impegnata in attività di consolidamento, quattro su cinque sono sistemi aperti, uno su due è protagonista di progetti di virtualizzazione, e quasi tutti (il 90%) sono fonte di innovazione.

Da qualche anno si accosta il termine mainframe al concetto di carenza di competenze gestionali…

Credo che lo skill shortage riguardi tutta l’It, non solo il mainframe, per il quale, comunque, mettiamo a disposizione decine di migliaia di competenze nel mondo, tramite la Global Services.

Il mainframe va bene per il cloud?

Il cloud è un modo nuovo di erogare computing per tanti utenti. E dove ce ne sono tanti, il mainframe ha un ruolo.

La strada principale per arrivare al mainframe oggi è il software?

È la chiave. Investiamo miliardi di dollari per rendere efficienti tramite software i mainframe. Tant’è che oggi, con Linux e Java, lo possiamo definire una piattaforma open.

A proposito di Linux: sembra fatto apposta…

Si, e il motivo è la grande forza di compatibilità che ha con i sistemi dove c’è il middleware.

Il mainframe ha bisogno delle comunità?

Decisamente, sia sotto l’aspetto culturale, che sotto quello pratico, di sviluppo.

E degli Independent software vendor?

Sono la nostra community principale.

Gli altri grandi fornitori di servizi sono allineati con questa idea di centralità?

Penso di si. Per fare un esempio, una realtà come Ca è sempre più attirata della crescita del mainframe e condivide con noi questa consapevolezza.

Quali sono le industry oggi più coinvolte?

Prima è l’area finance, quasi scontato dirlo. Poi viene il settore pubblico e terza la sanità. Anche il manufacturing cresce d’importanza, specie dove c’è Sap.

Di quali servizi su mainframe hanno bisogno oggi le aziende?

Ci sono i servizi applicativi, che devono provvedere alla cosiddetta sintonia fine delle applicazioni. Si tratta di modernizzarle, portarle al passo con le nuove reti. Poi ci sono quelli per la riduzione dei costi, ossia di ottimizzazione dell’It. La chiave è aumentare la capacità di lavoro del mainframe senza richiedere competenze aggiuntive. Interessante, qui, è capire come agiscono le economie di scala. In uno scenario in cui i workload crescono, le piattaforme standard fanno da moltiplicatori dei costi. Il mainframe, invece, imposta una curva in discesa, in cui più alto è il workload nel tempo, meno costa l’operazione.

Questo è uno scenario in cui il prezzo del sistema non va considerato?

Il prezzo conta, ma vanno aggiunte altre considerazioni. Esistono anche ragioni non tecniche che sottostanno alla scelta di una piattaforma. Semplificando, il mainframe va valutato in senso tridimensionale, facendo interagire i fattori del costo, della sicurezza e dell’affidabilità. Si tratta di prendere una decisione di business ampia, di livelli di servizio che si vuole raggiungere.

Cosa direbbe a un Cio in procinto di dismettere un mainframe?

Che se lo chiude per passare ad altre piattaforme deve stare attento ai costi di migrazione. L’esperienza dice che l’operazione non è indolore e che il costo finale potrebbe essere superiore alla somma degli addendi. Tutto dipende dai workload.

E cosa direbbe a un Cio orientato ad attivarne uno?

Come a tutti quelli, tanti, a cui l’anno scorso abbiamo venduto per la prima volta un mainframe gli dico di non credere a chi dice che è una piattaforma finita, ma che arriva per stare e per costruire.

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