L’on demand computing di Computer Associates illustrato dal Cto

Yogesh Gupta coordina l’operato degli sviluppatori di tecnologia di Ca, che, ultimamente, ha imboccato la strada della gestione delle infrastrutture informatiche in base al loro utilizzo. I piani per il futuro.

 


Sono circa 4mila le persone che in Computer Associates lavorano nell’area ricerca e sviluppo. I laboratori presso cui esercitano sono in tutto il mondo, dal Regno Unito alla Germania, dalla Francia a Israele, dall’ India alla Cina. E, ovviamente, negli Usa, presso la sede centrale di Islandia, New York. Tutte queste persone, rispondono a Yogesh Gupta, che di Ca è Chief technology officer. In pratica, è il numero due della società, dopo il Ceo Sanjay Kumar. Gli sviluppatori di Ca adottano una metodologia di lavoro comunitaria, fatta di team di sviluppo. Del resto, avendo così tanti laboratori, sparsi nel mondo, sarebbe difficile creare ciò che la società chiede, senza aderire al concetto di "gruppo". E una delle cose che, ultimamente, Sanjay Kumar chiede è quella di sostenere l’indirizzo della società verso il computing on demand. Una strategia che non differisce, nella destinazione d’uso, con l’e-business on demand di Ibm e l’adaptive infrastructure di Hp.

Superando la linea della filosofia e scendendo nel campo pratico della tecnologia e della sua applicazione, cosa accade nel campo dell’on demand computing di Ca? Ovvero, nei fatti, esistono differenze con Ibm e Hp, specie se si considera che la linea di Ca è integralmente di servizio software, mentre le altre due contemplano anche strutture hardware?


"È proprio questa la differenza fondamentale: gli altri fanno hardware, outsourcing, software management e così via. Ma se ci concentriamo sull’oggetto centrale dell’on demand, scopriamo che il problema fondamentale da risolvere è proprio la gestione delle infrastrutture, a prescindere da chi le fornisce. La proposta di Ca, quindi, si concentra solo sull’aspetto gestionale della questione, è maggiormente focalizzata. In tal senso, potrebbe anche non rivelarsi un vantaggio l’essere fornitore di hardware, dato che questo aspetto lega di più alla propria offerta".

Paragoniamo l’on demand computing all’outsourcing: c’è partita?


"L’outsourcing non è la risposta definitiva alle esigenze delle aziende attuali, sempre che l’outsourcer non applichi, in prima persona, il computing on demand, nel pieno senso del management delle infrastrutture. In sostanza, è un subset del Computing on demand, è uno strumento con cui applicare le metodiche dell’on demand".

Allo stesso modo, confrontiamo l’on demand con l’autonomic computing.


"L’autonomic computing fa parte della gestione dei sistemi. Ma le differenze di standard fra i vari vendor creano problematiche faticosamente risolvibili. L’Autonomic computing, comunque, è una piccola parte dell’aspetto della gestione del computing on demand.


Mettere le funzioni "autonomiche" all’interno delle macchine già quando queste vengono concepite, va bene, ma non risolve completamente il quadro della gestione, che poi va comunque applicata".

Ca sintetizza in 5 fasi l’implementazione dell’on demand computing: identificare le opportunità; raccogliere tutte le definizioni dei livelli di servizio; identificare le configurazioni standard; automatizzare il provisioning delle strutture e implementare la gestione automatizzata. In quanto tempo si realizzano? E poi, vanno bene per tutti i tipi di aziende?


"Le prime due fasi sono importantissime e a loro vanno dedicate molte attenzioni sul piano dell’analisi. Queste due fasi possono essere portate a termine in due mesi. Per il terzo step e il quarto ci vuole altrettanto tempo. Il quinto, poi, è una funzione on going, senza soluzione di continuità. Si può, quindi, dire che sono necessari 12 mesi per beneficiare inizialmente dei vantaggi dell’on demand computing. Per quanto riguarda lo small medium business, le fasi sono le stesse, ma cambia la prospettiva di riferimento, quello che si chiama "scope". Qui la dimensione e il respiro del raggio di azione dell’azienda possono giocare a favore di una riduzione dei tempi".

Il grid computing è la moda del momento. Sarà vera gloria?


"Non tutte le applicazioni business sono sottoponibili al grid computing. La scomposizione delle operazioni si presta bene all’ambito scientifico. Il billing, per esempio, lavora dati in parallelo. E Unicenter, nella fattispecie, esegue già il workload management. Quindi, si deve parlare, coerentemente, solo di alcune applicazioni".

La vostra tecnologia Sonar viene definita "agentless", adattandosi alle infrastrutture senza presupporre un contrappeso proprietario per poter esprimere la propria funzione di controllo. È un po’ un sintomo del momento tecnologico, che, specie nel comparto networking, cerca di facilitare l’integrazione a monte delle infrastrutture…


"Non si tratta tanto di liberarsi dalle proprietarietà delle strutture, quanto di controllare le tecnologie proprietarie per farle lavorare assieme. L’apertura è importante e, di conseguenza, la gestione assume un valore ancora più centrale. In alcuni casi, poi, gli agent servono alla causa. L’importante è riuscire a ridurli di numero".

L’Infrastructure Library process model (Itil) che avete adottato è senza dubbio una perfetta fotografia, per quanto complessa, dello scenario aziendale odierno. Ma è chiara ai Cto che la dovrebbero leggere?


"Quello che devono capire i Cto è che oggi esistono troppi pezzi di tecnologia che mancano di connessioni fra loro. In senso figurato, schematizzando la visione dell’Itil, non sono importanti le scatole tecnologiche, quanto le linee che le collegano".

A proposito di interoperabilità delle strutture, oggi va di moda scambiarsi le Api. È giusto e sufficiente?


"La soluzione sarebbe ideale. Alcuni sono convinti della bontà dell’operazione, altri meno. C’è addirittura chi le Api se le fa pagare. In tal modo non fa altro che remare contro gli interessi dei clienti".

Web service. Detto con le parole di un Cto, che cosa sono?


"Tecnicamente, sono metodi per far parlare i software. E perché ciò avvenga, devono conoscere le identità degli interlocutori. In sostanza, è un metodo per superare la vecchia logica della comunicazione point-to-point fra le applicazioni. Nel lungo periodo, tutte le business application lo faranno. La meraviglia che c’è sotto questa trasformazione è data dal fatto di poter parlare tutti la stessa lingua. La sfida, invece, sarà data dalla messa in sicurezza di tutte le comunicazioni". Dario Colombo

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