Home Datacenter Come l'high tech made in Italy modernizza il datacenter

Come l’high tech made in Italy modernizza il datacenter

Custom è high tech solution company italiana in continua evoluzione e crescita, tanto che il suo datacenter esistente non era più in grado di garantire prestazioni adeguate e necessitava dell’appoggio di un sito di disaster recovery.

Luciano Borsato, IT manager di Custom, spiega di aver preso in considerazione varie soluzioni, “da quelle convergenti, che io chiamo legacy, al private cloud per arrivare fino all’iperconvergenza”.

L’obiettivo che il team IT di sei persone, si era dato era di avere un sistema scalabile che permettesse una riduzione significativa dei tempi di manutenzione, il miglioramento delle performance e una semplificazione della governance.

Il punto di partenza era un datacenter on premise strutturato in modo classico, con un centinaio di macchine virtuali, che comprendeva un armadio rack dedicato alla struttura Sap basata su macchine Ibm con sistema operativo AIX.

Dopo avere preso in considerazione la possibilità di eseguire un completo refresh del datacenter con tecnologie tradizionali basate sul classico modello 3-tier o quella di passare a un private cloud, il team guidato da Borsato ha deciso di optare per la soluzione Nutanix, scegliendo le licenze Ultimate.

Chi è Custom

Custom è una high tech solution company di Parma specializzata nei settori retail, enterprise e in diversi mercati verticali, con nove aziende e cinque marchi. Tra i nomi più noti, Italiana Macchi, System Retail, Bizeta e Netrising. Lo scorso anno ha fatturato 183 milioni di euro, oltre la metà all’estero. Lavora in 76 paesi con oltre 700 professionisti, ha 30 brevetti, sei laboratori software e cinque stabilimenti: Italia, India, Romania, Cina e Brasile

Per prima cosa è stato configurato il cluster di produzione, basato su tre nodi Dell. “Terminata la fase di installazione abbiamo eseguito tutti i test funzionali e abbiamo iniziato la migrazione delle macchine virtuali – dice Borsato -. Abbiamo lavorato in parallelo senza che gli utenti si accorgessero del cambio dell’hardware, se non per l’evidente miglioramento prestazionale. Non li abbiamo bloccati in nessuna fase”.

Una volta conclusa la migrazione su Nutanix si è proceduto con la configurazione dell’infrastruttura di disaster recovery, anch’essa composta da tre nodi.

Questo cluster è stato configurato in campus, onpremise, e una volta realizzato il primo allineamento è stato portato fisicamente nel datacenter di colocation di Aruba per i test.

Il lavoro ha richiesto meno di una giornata, viaggio compreso – commenta Borsato -. In pratica, dalla mattina alla sera abbiamo messo in piedi un sito di Disaster recovery completamente funzionante”.

Tutto il processo è durato un paio di mesi, perché le macchine virtuali sono state migrate poco alla volta.

Qualcosa in più è servito per la parte Sap, dove però c’è stato anche un importante cambio di piattaforma, con il passaggio da Aix a Suse.

Sin dalla fase di migrazione delle prime macchine virtuali si è potuto notare un notevole miglioramento delle prestazioni.

Il vero termine di paragone è stato Sap, che è un’applicazione critica e particolarmente pesante. Elaborazioni che prima richiedevano cinque minuti si sono ridotte a una quarantina di secondi, con grande soddisfazione degli utenti. Borsato lo ha definito “un passaggio epocale”.

In più sono diminuiti i tempi di gestione di tutta l’infrastruttura: se prima era necessario intervenire manualmente con diversi strumenti, oggi attraverso Prism si riescono a gestire entrambi i datacenter con un’unica dashboard.

Un altro elemento molto importante che Custom ha voluto sottolineare è legato all’assistenza. “Avere un unico interlocutore, Nutanix, che ti aiuta a risolvere qualsiasi problema è importante – racconta Borsato -. Nella governance globale questo per noi è fondamentale”.

I prossimi passi

In un primo momento Custom ha deciso di non cambiare hypervisor, ma ora l’obiettivo è quello di migrare tutto su AHV. E poi c’è la volontà di valutare attentamente, a breve termine, anche Xi Frame.

Questo comporterà probabilmente un ampliamento dell’infrastruttura, dato che l’idea è di spostare su VDI il reparto tecnico, che impiega programmi di grafica come SolidWorks.

Infine, il gruppo guarda con interesse alla possibilità di adottare una strategia ROBO (Remote Office/Branch Office) in alcune delle sedi estere, per renderle un po’ più autonome e non essere costretti a effettuare interventi di manutenzione da remoto, complicati dal differente fuso orario.

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