Che idea le Public utilities!

Il settore gode certamente di buona salute. La crescita è tangibile e gli investimenti sono necessari. Occorre però una forte conoscenza delle dinamiche di questo comparto, ancora a cavallo tra le necessità di un business privato e i limiti di una forte presenza pubblica

Febbraio 2004, Non date retta a chi vi dice che c’è crisi. Certo,
a una prima visione di insieme il mercato Ict italiano soffre ma, se non ci fermiamo
ai dati generali e studiamo quelli di alcuni mercati specifici, qualcosa di buono
si trova. Lo abbiamo detto per il mercato della Pubblica amministrazione e possiamo
ribadirlo anche a proposito del settore delle Public utilities. In un interessante
white paper dedicato al settore e realizzato da Atos Origin in collaborazione
con Nextvalue e Aberdeen, un dato su tutti ci conforta: se l’andamento previsto
della spesa It in Italia dal 2004 al 2006 non supererà la media del 3%,
il mercato delle Public utilities dovrebbe registrare un valor medio di crescita
del 10%. Proprio niente male. Un mercato da sempre in generale controtendenza
se si considera che, dal 1994 al 2002, il tasso di incremento medio di sviluppo
è stato superiore al 15%, con una crescita continua in rapporto al fatturato.
Sotto il nome di Public utilities rientra il folto ed eterogeneo gruppo di aziende
di produzione, distribuzione e vendita di servizi di pubblica utilità,
in primo luogo acqua, elettricità e gas insieme a servizi ambientali (igiene
e protezione ambientale), trasporti e farmacie. Complessivamente, in Italia, parliamo
di oltre 22 miliardi di euro di ricavi per il 2002 relativamente a circa 1.400
aziende con 150mila addetti che rappresentano l’8% circa del totale degli investimenti
netti dell’intero sistema produttivo italiano. Se restringiamo il campo ai comparti
acqua, elettricità, gas, ambiente e alle aziende multiutility (che forniscono
più servizi di questo tipo), sicuramente le più affamate di tecnologia,
abbiamo circa 700 aziende con 75mila addetti e un fatturato complessivo intorno
ai 10 miliardi di euro.

La storia inizia nei primi anni 90 con la liberalizzazione del settore. La normativa,
in alcuni punti ancora carente, ha cercato, settore per settore, di dare delle
regole a un mercato che doveva diventare aperto e concorrenziale.
Da qui negli anni si è visto di tutto. L’arrivo di capitali privati,
anche esteri, l’attenzione da parte dei vecchi proprietari pubblici ad aprire
agli investitori, ma tenendo bene in mano il controllo della maggioranza delle
azioni.
L’ingresso in Borsa, sulla scia della bolla di Internet, il successivo crollo
delle azioni, anche a seguito degli interventi della Comunità europea a
proposito di tassazione agevolata, e la costituzione di una serie di realtà
quantomeno singolari. Noti fornitori di soluzioni Ict che creavano nuove aziende
insieme alle maggiori utilities, enti locali che univano le forze, società
di consulenza specializzate e, infine, fusioni di aziende Ict al fine di migliorare
l’offerta specifica.


Una carta strategica chiamata alleanza
Alleanze e joint venture sembrano proprio le parole d’ordine del settore,
secondo i dati presentati ai più recenti convegni in quest’ambito
dalla società di consulenza Agici: dal 2000 al 2003 si sono verificati
ben 187 accordi e 29 fusioni nel mercato delle utilities. Particolarmente attive
in questo senso sono state le Tlc, inteso come servizio di telecomunicazione su
base locale come può essere la cablatura o l’illuminazione pubblica,
l’elettricità, il gas e il servizio idrico. Gli accordi, in questa
prima fase, hanno riguardato soprattutto le utilities e non i loro fornitori.
Per esempio, l’Acea di Roma, multiutility specializzata in energia e acqua
attiva anche all’estero, ha stipulato 27 accordi, di cui ben 13 nel solo
settore idrico. Un altro caso interessante riguarda la seconda realtà del
settore, il gruppo Hera, nato alla fine del 2002 come raggruppamento di 11 multiutilities
dell’Emilia Romagna.
Attualmente alla holding emiliana sono associati ben 138 comuni impegnati nell’erogazione
al cittadino di energia elettrica, acqua, gas e servizi ambientali. Se da una
parte il settore privato ha tentato di mettere le mani sull’affare, in molti
casi non è riuscito a sfondare la porta. Secondo un’indagine Confservizi,
su 400 ex municipalizzate solo un terzo ha aperto a soci privati, nel 67,8% dei
casi il capitale è rimasto interamente in mano agli enti locali.
Dopo i movimenti che hanno riguardato le aziende del settore, e che non intendono
esaurirsi, arriva anche il momento degli accordi tra i fornitori di Ict. Così
Atos Origin ha comprato la specialista SchlumbergerSema, il gruppo Engineering
ha acquisito Neta, ex Etnoteam Adriatica e vero pioniere italiano, e il Gruppo
Formula apre una divisione utilities stipulando un accordo con la concorrente
Oracle (vedi articolo a pagina 43). Queste sono solo alcune delle notizie più
rilevanti ma nel 2004 ce ne aspettano sicuramente altre, che potrebbero riguardare,
per esempio, l’ingresso in Italia di player stranieri.

Detto questo cerchiamo di capire, dal punto di vista dell’infrastruttura It, quali
possono essere le necessità del settore. Generalmente tutte le public utilities
avevano già provveduto a un’informatizzazione di base, ma ora il gioco
si fa duro: la concorrenza vuole che i servizi erogati siano i migliori e, per
questo, è necessaria un’infrastruttura tecnologica all’avanguardia. Banalizzando,
si potrebbe dire che si richieda un processo di integrazione di tutti i pacchetti
preesistenti, secondo una logica multiutility in cui la stessa infrastruttura
applicativa sia capace di gestire interlocutori e servizi di diverso tipo. Chi
è responsabile dei sistemi informativi di una multiutility si trova a dover
integrare i diversi pacchetti avuti in eredità e, inoltre, nuovi scenari
si presentano all’orizzonte, in termini di gestione remota dei servizi e di customer
satisfaction.


Unbundling e opportunità
A complicare le cose ci si è messo anche l’unbundling, ovvero la
necessità, sancita dal decreto legislativo n. 164 del 2000, di costituire
una società distinta per ogni anello della filiera: produzione, trasmissione,
trading, distribuzione e vendita.
Sempre secondo i dati del white paper di Atos Origin, in cui sono state interpellate
circa 200 aziende di cui 50 multiutility, le aree Amministrazione e finanza e
il Management information system sono le più automatizzate, mentre la produzione
e la gestione delle relazioni con i clienti ha ampi margini di intervento.
In particolare, se il problema del billing è già in qualche modo
risolto (circa il 55% delle local utilities ha dichiarato di averne già
implementato uno), una soluzione Crm spesso non è ancora presente (quasi
l’80% delle local utilities non la utilizza).
Sempre secondo l’analisi, il sottoinsieme delle multiutilities, sicuramente
la realtà più attenta allo sviluppo tecnologico e con maggiori possibilità
di investimento, chiederà nei prossimi anni applicativi di reporting direzionale,
di controllo di gestione e di processi, ma anche soluzioni più avanzate
per il billing e applicazioni Web based. La maggioranza delle multiutilities,
inoltre, tenderebbe a esternalizzare lo sviluppo.

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