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Proximity marketing: come si usano i beacon

Qualche anno fa sembrava che la tecnologia dei beacon Bluetooth stesse per conquistare e trasformare tutto il mercato retail, dando vita a una nuova gamma di applicazioni e servizi basati sulla disseminazione dei piccoli dispositivi.

Non sembra sia stato così, perlomeno ci sono pochi casi di applicazioni dei beacon a cui sia stata data una vera rilevanza tra i grandi marchi del retail (Macy’s e Sephora sono i nomi noti che si citano sempre in questi casi).

E i produttori hardware e software che si rivolgono al retail indicano da tempo che il prossimo sarà l’anno giusto per il successo dei beacon. Davvero non è cambiato niente per i beacon? E se sì, che cosa?

I beacon hanno un grande punto di forza: concettualmente e tecnicamente sono oggetti semplici. Si tratta in sintesi di piccoli trasmettitori Bluetooth i quali non fanno altro che trasmettere poche informazioni intorno a sé. In teoria un device Bluetooth permette comunicazioni molto più complesse di questa, ma il modello che è andato affermandosi prevede dispositivi Bluetooth 4.0 Low Energy (o Bluetooth Smart se vogliamo usare la denominazione commerciale e non quella tecnica), che quindi consumano molto poco, per una comunicazione mono-direzionale: loro trasmettono, qualcosa (nella gran parte dei casi uno smartphone) riceve. A essere precisi a riceve i segnali non è tanto lo smartphone quanto un’app attiva su di esso, che deve dare un “senso” e un contesto ai segnali stessi e ai pochi dati che veicolano.

Facciamo un esempio pratico e immaginiamo che un retailer distribuisca diversi beacon nei suoi vari punti vendita. In un progetto del genere di solito i beacon trasmettono poche informazioni: un proprio identificativo univoco, la potenza trasmissiva e almeno due valori numerici che possono ad esempio identificare il punto vendita e un suo reparto.

Beacon_HardwareIl cliente del retailer per sfruttare la rete dei beacon deve solo scaricare un’app ad hoc. Quando entra in un punto vendita questa comincia a ricevere i segnali dei beacon e ne trae alcune informazioni, principalmente una stima della propria posizione fisica nel punto vendita (triangolando la potenza dei segnali dei beacon, se questi sono abbastanza distanti) e una posizione per così dire “commerciale” (punto vendita e reparto).

In base a queste informazioni l’app può mostrare in tempo reale informazioni e promozioni che non vengono direttamente dai beacon (sono già nell’app o si scaricano via Internet) ma che sono visualizzate in funzione di essi. In configurazione più complesse il beacon può anche trasmettere informazioni più articolate, ma la configurazione descritta già basta per fare molte cose.

Vantaggi chiari

I beacon appaiono quindi come una base neanche troppo complessa su cui basare due approcci che oggi sono visti come il Santo Graal del mondo retail: il marketing di prossimità e l’arricchimento dell’esperienza di acquisto nei punti vendita fisici.

Se il proximity marketing vuole raggiungere il cliente potenziale con messaggi mirati in base al momento e alla posizione, i beacon permettono di farlo in maniera meno invasiva di altre soluzioni basate sul rilevamento della posizione via GPS. Non attivano una comunicazione bidirezionale, non sono visti come una invasione della privacy, richiedono anzi un atto esplicito (attivare l’app del retailer) per funzionare al meglio.

Anche l’esperienza di acquisto viene migliorata, e di parecchio. In una soluzione ideale basata su beacon si può mostrare sul display dello smartphone del cliente una vasta gamma di informazioni utili: dalle promozioni alle informazioni sui prodotti, dalla mappa del punto vendita ai suggerimenti d’acquisto. E quant’altro sia possibile incrociando i dati storicamente raccolti sul cliente con quelli della sua presenza in tempo reale.

Un modello di "rete" di beacon proposto da Kontakt.io
Un modello di “rete” di beacon proposto da Kontakt.io

Inoltre l’uso dei beacon non è limitato solo al campo retail, anche se in questo ha le applicazioni più interessanti. Qualsiasi ambito in cui sia utile comunicare informazioni di prossimità è potenzialmente adatto ai beacon. Possiamo pensare a device installati nei musei vicino alle opere d’arte, nelle stanze d’albergo, come sistema di “navigazione” indoor all’interno di edifici o spazi pubblici, per l’advertising interattivo, per la distribuzione di informazioni turistiche… Le applicazioni non mancano.

Ma i beacon non bastano

Con tutti questi vantaggi, cosa ha bloccato i beacon? Va premesso che le statistiche di settore sono molto meno negative rispetto all’impressione “qualitativa” del mercato. All’inizio del 2016 RSR (Retail Systems Research) stimava che tra i retailer statunitensi, che sono quelli mediamente più “avanti”, solo un quarto circa non era interessato alla tecnologia. Un altro quarto l’aveva testata con successo, gli altri avevano in piano di fare i propri test. Niente flop dei beacon quindi, semmai un rallentamento.

Un rallentamento che sembra essere dovuto a due fattori principali. Uno c’entra poco con i beacon in sé: il mondo retail in questa fase è interessato da una forte evoluzione tecnologica legata alla digitalizzazione dei suoi processi (non solo quelli verso il cliente) e alla necessità di un approccio multicanale e integrato alla comunicazione e alla vendita. I beacon certamente possono rientrare in questa visione ma le priorità appaiono altre (supply chain, e-commerce, soluzioni per i punti vendita), per cui gli investimenti per i beacon sono passati in secondo (o terzo) piano.

Un altro fattore importante è invece legato ai beacon veri e propri. Il fatto cioè che da soli non bastano, sono l’elemento finale – e nemmeno tanto smart – di una strategia basata su comunicazioni e servizi alla clientela che deve essere sviluppata a priori. Servono infrastrutture, app mobili, software di gestione e una integrazione con tutto il resto della catena retail. E non sempre per i retailer è facile trovare fornitori in grado di coprire efficacemente tutte le aree interessate.

1 COMMENTO

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