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Tre flessibilità per il lavoro dell’Industry 4.0

Skill e competenze, sicurezza, gestione dei dati. Il report del Ceemet (l’associazione che riunisce le industrie metalmeccaniche europee) viaggia a tutto campo nel futuro delle digitalizzazione del lavoro. Ma pone l’accento su un’area fino a oggi ancora sottovalutata che apre spazi di intervento enormi.
Il report infatti si sofferma anche sull’organizzazione del lavoro spiegando che nel mondo dell’Industry 4.0 nulla potrà essere più come prima. Partendo dalla constatazione che l’organizzazione del lavoro deve riflettere prima di tutto le necessità produttive dell’azienda per rimanere competitiva, Ceemet spiega che le nuove tecnologie permettono una maggiore autonomia in termini di tempo e spazio. Per questo le aziende dovranno diventare molto più agili nella gestione del lavoro e della forza lavoro. Le parti dovranno avere l’autonomia necessaria per concludere accordi collettivi sulla flessibilità e i governi nazionali dovranno avere limitate possibilità di intervento che facciano riferimento alla definizione di un quadro di regole. All’interno di questo quadro il report parla di tre flessibilità la prima delle quali è legata all’orario di lavoro.

Come ha osservato Francesco Seghezzi, ricercatore del centro studi Adapt specializzato nelle relazioni industriali, l’utilizzo delle nuove tecnologie consente di governare la produzione in tempo reale lungo tutta la supply chain grazie alla rete e a un sistema interconnesso. Dall’altra parte “ci sono le esigenze di quei lavoratori che non concepiscono più la vita quotidiana come una netta distinzione tra lavoro e tempo libero, ma desidererebbero maggiore autonomia e responsabilizzazione nella gestione del tempo e delle carriere”.

Il lavoro è dove c’è lo smartphone
Altra flessibilità è quella del luogo di lavorosempre più disallineato dalle quattro mura della fabbrica”. Il lavoro si trova dove il lavoratore può utilizzare il proprio pc o il proprio smartphone. “Una flessibilità questa più difficile da concedere ai lavoratori di produzione delle industrie pesanti, e che vedrà più interessato il mondo impiegatizio”. L’ultima flessibilità riguarda la definizione di lavoratore dipendente cha fa riferimento, come spiega Seghezzi, “a un mondo di produzione di massa standardizzato, con il quale ben si sposava il lavoratore a tempo indeterminato sia per la forte logica di subordinazione, funzionale all’organizzazione del lavoro fordista, sia per il ciclo di produzione-consumo che faceva sì che il lavoratore fosse lo stesso consumatore, in un modello di business e di produzione non più attuale da almeno trent’anni ma rimasto vivo nella regolazione del lavoro e in molta contrattazione collettiva nazionale”.

E’ probabilmente quest’ultima la sfida più difficile perché Ceemet parla di una flessibilità che permetta di adeguarsi ai picchi di mercato con la variazione della forza lavoro. Ovvio il coinvolgimento dei sindacati che in Italia da anni discutono con gli impenditori sulla variazione dei contratti collettivi con l’allargamento della contrattazione aziendale. Senza fare molti passi avanti.

La produttività

Ma tutto questo lavoro conclude il ricercatore non può limitarsi a una riorganizzazione che permetta di risparmiare sui costi, ma deve influire sulla produttività. “Se invece queste piccole rivoluzioni saranno improntate a un aumento della produttività del lavoro, con un conseguente beneficio sui salari dei lavoratori e sulla diminuzione di un clima conflittuale in azienda potremo dire che il 4.0 non è unicamente una rivoluzione tecnologica, ma un enorme passo avanti nelle relazioni industriali e verso una nuova idea di lavoro, di cui tutti hanno oggi immensamente bisogno”.

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