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White box: è il momento giusto per il networking aperto

Uno switch o un router in fondo sono computer specializzati che svolgono compiti ben specifici nell’instradamento dei pacchetti di rete. Hanno un loro sistema operativo e software ad hoc che non gestiamo in senso convenzionale, ma sappiamo che ci sono.

Il Software Defined Networking – sintetizzando e semplificando molto – ha tra l’altro l’obiettivo di eliminare questo legame stretto tra hardware di rete e funzioni di rete, per avere una maggiore elasticità nella gestione e nell’ottimizzazione delle seconde.

Fin qui di niente di rivoluzionario per i produttori di networking.

Tanto che la maggior parte ha sue iniziative di SDN, specie quando si tratta di soluzioni per i grandi Internet provider o per gli operatori di telecomunicazioni, che sono molto sensibili al tema della elasticità e adattabilità della rete.

Qualche problema in più è nato quando l’approccio SDN ha seguito una strada non del tutto prevista, inizialmente: perché non adottare server x86 classici, magari nemmeno di marca, come dispositivi di rete puntando maggiormente sul lato software?

Il mercato degli switch bare metal secondo IHS
Il mercato degli switch bare metal secondo IHS

Questa domanda ha fatto nascere il mercato dei dispositivi di rete detti white box, ossia senza marca, o anche switch bare metal, di semplice metallo, perché il software operativo poi ce lo mette l’utente. Possono essere realizzati anche da produttori indipendenti su progetto del cliente stesso.

Nelle sue varie forme questo segmento, che nelle cifre degli analisti finisce nella categoria “altro” o magari “ODM” da Original Design Manufacturer, è tra quelli che crescono maggiormente nel mondo networking. Certo ne è ancora una fetta minima (meno del 10 percento circa a metà 2016 secondo IHS Markit) ma a un tasso di crescita di quasi il 50 percento a semestre promette sviluppi interessanti.

Chi crede ai white box

La spinta decisa al mercato white box è venuta dai grandi provider, che hanno al loro interno le competenze per progettare dispositivi di rete e anche per sviluppare il loro sistema operativo. E adattarselo per le funzioni richieste dai propri datacenter. Così ad esempio Facebook si è progettata uno switch denominato Wedge che ha avuto versioni prima a 40 e poi anche a 100 Gbps.

E che, soprattutto, è diventato anche un progetto “open” nell’ambito dell’Open Compute Project (OCP). In questo modo anche altre aziende, oltre ai fornitori di Facebook, hanno potuto realizzare switch sullo stesso progetto e sulla medesima piattaforma operativa (un derivato di Linux).

Quello di Facebook è solo il caso più noto e forse più “aperto”. Tutti i grandi provider stanno facendo qualcosa del genere usando software di rete più o meno fatti in casa. Persino Microsoft ha sviluppato un sistema operativo per dispositivi di rete – Azure Cloud Switch, anch’esso Linux-based – derivato in parte da altri progetti dell’OCP. La sua particolarità sta nel fatto che non è un prodotto usabile da altri: la parte software è stata sviluppata per integrarsi precisamente nei datacenter di Microsoft. Un sistema operativo di rete fatto su misura, quindi, che non può essere portato in altre infrastrutture.

Una versione modulare di Wedge, lo switch "open" di Facebook
Una versione modulare di Wedge, lo switch “open” di Facebook

Peccato forse, perché uno switch/router in logica SDN ma marchiato Microsoft avrebbe dato ad alcuni utenti una sensazione di affidabilità maggiore di un anonimo white box basato su software open source. Lo sa bene Dell, che senza troppa fanfara propone da qualche tempo un suo Linux per device di rete, battezzato OS10 (da Operating System 10). Proprio a Dell viene attribuita la paternità di un sotto-segmento dei white box: i brite box o branded white box, in sintesi white box di marca che cercano di unire i vantaggi del SDN con la forza di un brand. Sono una nicchia, ma piacciono alle imprese tradizionali.

La reazione dei produttori

Il rapporto tra networking classico e white box è un po’ quello che c’era anni fa tra software tradizionale e open source: ci vogliono competenze per gestire la componente “indipendente” e per questo il SDN estremo degli switch bare metal non è ancora una grande minaccia per i nomi del networking.

Ma proprio l’esplosione del fenomeno open source in anni più recenti insegna che certe tendenze non vanno sottovalutate. Oltretutto al SDN lavorano non solo le aziende del networking ma anche tutte quelle che fanno in qualche modo virtualizzazione. Il networking di una rete virtuale non può che essere software-defined, in fondo.

Così alcuni produttori tradizionali hanno adottato soluzioni software basandosi su progetti di networking open source come quelli dell’OCP (lo fanno ad esempio Brocade e Juniper) mentre altri hanno scelto una strada diversa: un sistema operativo slegato dall’hardware ma funzionante solo su device “certificati” (è la strada ad esempio di Avaya).

Il player principale del mercato – ovviamente Cisco – per il momento ha posizioni molto più tradizionali, ma si vocifera che stia comunque sviluppando un sistema operativo di rete slegato dal suo hardware. È solo una voce non confermata, ma semplicemente il fatto che sia circolata è già sintomo di una evoluzione del mercato.

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