Ict e dis-occupazione: quale lavoro nella società digitale?

Aica, l’Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico, ha commissionato a Sda Bocconi un’indagine sul futuro del lavoro nella società digitale.
Condotta intervistando 14 opinion leader, cui si sono aggiunti 300 studenti e neolaureati appartenenti a 15 Atenei italiani, 62 startupper rappresentativi dei principali settori economici, 243 manager e dirigenti e 115 responsabili del personale raggiunti con una serie di questionari mirati anche grazie alla collaborazione con Aldai Federmanager e AiDp, l’indagine ha evidenziato per alcune tematiche prese di posizione chiare.

Biffi_SdaA dettagliarle ci ha pensato Alfredo Biffi, Coordinatore della Ricerca Sda Bocconi-Aica, sottolineando, per prima cosa, l’elevata consapevolezza da parte del campione indagato «di come entro i prossimi dieci anni, o anche prima, l’evoluzione delle tecnologie distruggerà il lavoro routinario, sia di tipo fisico sia intellettuale, mentre è minore la convinzione che la stessa cosa potrà accadere per il lavoro concettuale di più alto livello».
Ma per un netto 52 per cento del campione che ancora non lavora, o lo fa da pochissimo tempo, convinto che le macchine offriranno opportunità per creare nuova occupazione, spicca un netto 64,3 per cento di esperti convinto che i livelli occupazionali del nostro Paese risentiranno fortemente dell’impatto dell’innovazione tecnologica.
Ecco con quali conseguenze nel prossimo futuro.

1Verso una élite tecnocratica

A non risentirne, se non positivamente, sarà, invece, il Prodotto Interno Lordo nazionale, ossia la capacità del sistema socio-economico di produrre ricchezza da parte, però, di un minor numero di occupati. Da qui il bisogno di indagare, fin da ora, soluzioni per il riequilibrio della ricchezza prodotta e del lavoro rimasto.
Interpellati in merito, gli opinion leader hanno suggerito la combinazione di tre diverse azioni volte, rispettivamente, a incentivare il lavoro manuale in settori che non richiedono l’utilizzo di Ict; a creare, anche con l’impiego di tecnologia, nuovi ambiti di sviluppo economico; a recuperare ambiti economici attualmente sottostimati, comunemente riassunti sotto il cappello di “Arti e Mestieri”.
Il tutto tenendo bene a mente che, sempre secondo gli opinion leader, «coloro che progetteranno, realizzeranno e governeranno la tecnologia beneficeranno di una maggiore remunerazione e che la ricchezza tenderà a concentrarsi nelle loro mani».
Da qui l’emergere di una élite tecnocratica con redditi elevati e la conseguente consapevolezza che le disparità già esistenti difficilmente verranno riequilibrate.

2I manager del futuro

Ciò detto, se per la quasi totalità dei responsabili del personale e dei manager interpellati, l’uomo manterrà il controllo diretto della macchina, «anche se questa dovesse aumentare la sua capacità di “essere consapevole”», è altrettanto vero che «le competenze tecnologiche possedute saranno un criterio fondamentale nella selezione del personale in azienda».
In tutto ciò, il sentiment generale emerso dall’indagine, lascia prevedere un’evoluzione del ruolo del manager che, quasi per tutti gli interpellati, sarà chiamato a gestire l’innovazione rivestendo un compito di “progettista del cambiamento”, con capacità di visione e decisione e in grado di spostare l’attenzione dalla gestione delle persone a quella dei processi.

3Ruolo centrale per i responsabili Hr

Con l’avvento sempre più pregnante delle nuove tecnologie in azienda, la quasi totalità dei direttori del personale interpellati ritiene, inoltre, che il proprio ruolo si dividerà tra il gestire il cambiamento e lo sviluppo di un apprendimento continuo necessario ad avere personale sempre più allineato alle esigenze del business in continuo aggiornamento, mentre non sono pochi a ipotizzare l’esternalizzazione della componente di selezione del personale, probabilmente in futuro condivisa con gli altri manager in azienda.

4Formazione, formazione, formazione

Di certo, un futuro così diverso dal presente richiederà un grande sforzo di adattamento da parte di tutta la società, con un elemento di continuità rispetto al passato rappresentato, però, dalle competenze tecnologiche.
Investire sulla formazione scolastica e universitaria prima, e sull’aggiornamento professionale dopo, continua, infatti, a rappresentare una strada obbligata per rispondere alle richieste di una società sempre più digitalizzata e che corre veloce.
Il giudizio, dai manager d’azienda agli startupper, risulta qui unanime nel ritenere che la progettazione organizzativa debba tener conto dell’impatto delle nuove tecnologie informatiche per lo sviluppo di nuove attività economiche, in primis, riassunte in IoT, cloud computing, Intelligenza Artificiale e 3D printing.
Pur destinati a diminuire di numero, i manager del futuro saranno sempre più “progettisti” e “gestori” di innovazione continua. Per loro, come per gli altri attori del mercato coinvolti, investire in cultura digitale si conferma l’unica strada percorribile in un futuro in cui se non è pensabile che si lavori più, si lavorerà sicuramente meno.

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