Cloud e Big Data: nuovi paradigmi d’offerta per il canale Tech Data

Una puntuale analisi a cura della School of Management del Politecnico di Milano per soddisfare l’esigenza dell’amministratore delegato della filiale italiana del Vad, Ernest Quingles, di cogliere “insieme” le nuove opportunità del mercato.

Sviluppare nuove capacità di coopetizione.
Oggi, come ieri, il suggerimento agli operatori del canale Ict in cerca di nuove forme di vita non cambia.
A farlo, semmai, è il paradigma dell’offerta, velocemente passato “dal vendere progetti complessi a erogare servizi semplificati”.

«A patto che gli operatori sul mercato siano disposti a cambiar pelle».

Il suggerimento arriva da Stefano Mainetti, docente di tecnologie dei sistemi informativi presso il Politecnico Milano, ed è rivolto, in primis, ai rivenditori Tech Data.
Riuniti presso l’Auditorium di Palazzo Lombardia intitolato a Giovanni Testori, a loro Ernest Quingles (nella foto) ha scelto di dedicare un evento «per capire cosa fare insieme in un momento effervescente della tecnologia».

Forte di una crescita ormai prossima al miliardo di euro, per l’amministratore delegato della filiale nostrana di Tech Data, che non teme di definire quello sotto la sua guida «il primo distributore Ict in Italia, totalmente focalizzato nella vendita di tecnologia e privo di una rete interna in concorrenza con i rivenditori», si tratta di comprendere la portata dei fenomeni in atto.

Primi fra tutti il cloud computing, che Quingles definisce «la socializzazione delle infrastrutture», e i Big Data, «che richiedono al marketing di analizzare algoritmi e tendenze e su cui realtà come Amazon basano già il 75% delle loro vendite».

Conoscere il fenomeno per indirizzare le strategie
Al tempo in cui la “nuvola” cambia l’industria Ict nel modo di erogare i servizi, anche l’utilizzo della tecnologia, su cui ora impattano stili di vita e di consumo delle persone, richiede agli operatori sul mercato di individuare nuove opportunità attraverso la creazione di valore.

«Il contesto è favorevole» sottolinea Mainetti riferendosi a una spesa totale d’Information technology in via di stabilizzazione «rispetto agli ultimi cinque anni in contrazione», mentre l’Istat ha corretto da -0,1 a 0 l’andamento del Pil italiano riferito all’ultimo trimestre.
Per non parlare delle priorità riportate analizzando i risultati dell’Academy condotta dalla School of Management del Politecnico di Milano interpellando oltre 200 Cio delle aziende italiane di grandi dimensioni.

«Tra le loro priorità – ricorda Mainetti – non mancano sistemi avanzati per far evolvere gli analytics in azienda e, con essi, il sistema informativo ma anche i principali fenomeni di trasformazione tra cui business mobile app e mobile device».

Qui l’attenzione dei Cio è su «una fruizione in mobilità dei sistemi informativi aziendali all’interno di un quadro evolutivo più orientato a un nuovo stile di consumo delle informazioni in mobilità e in condivisione».

Come cambia il ruolo degli integratori di sistema
Lontani dall’essere chiamati a proporre solo giornate di system integration e personalizzazione, per gli operatori del canale è tempo di creare applicazioni software per far fruire in mobilità il sistema informativo aziendale e di comporre tanti digital workspace quanti sono i fruitori che lo richiedono.

Su quali device mobili è l’ulteriore interrogativo da porsi, «considerato che solo il 18% dei Cio interpellati afferma – ricorda Mainettidi non aver alcuna intenzione di favore l’utilizzo del proprio dispositivo personale ai dipendenti in azienda».

E che il Byod non sia una moda passeggera lo dice anche quel 35% dei 182 responsabili dei sistemi informativi che hanno risposto di aver già introdotto mobile business app nella propria realtà, mentre alla tavola rotonda organizzata da Tech Data Italia in tema di mobility «a colpire, anche solo rispetto a tre anni fa – sottolinea Quingles –, è la presenza di un vendor cinese del calibro di Huawei accanto a Nokia e Motorola, vale a dire Microsoft e Google».

Vero è che per far business con i Big Data e il social business occorre «arricchire i sistemi per la performance management andando nella direzione delle advanced analytics per sviluppare una cultura di pianificazione, misura e controllo all’interno dell’impresa per governare in maniera diversa le decisioni del management».
A patto di saper lavorare in maniera diversa, «consapevoli che quella in atto è un’appartenenza aperta e che “chiudere” non è più un valore per le aziende».

Quattro suggerimenti per chi vuole mettersi in gioco
Una “distruzione creativa di quello che sapete fare” è, a questo punto, il suggerimento al canale, non solo di Tech Data.
L’assunto da cui partire è «creare valore nell’ottica del cliente, perché vendere tecnologia fine a se stessa rientra nel vecchio paradigma d’offerta».

Occorre, poi, «mettere in atto iniziative di internazionalizzazione, che hanno già permesso a molti di veder riconosciuto il proprio valore sfuggendo a un pericoloso abbassamento delle tariffe che caratterizza il mercato italiano e che ha come controparte progetti Ict fatti male».

Ancora una volta, generare valore sui processi di business «richiede di condividere asset, alleanze e sviluppo di sinergie» utili a sviluppare una competenza di dominio calata su esigenze specifiche.

E a chi risponde che i progetti cloud in Italia valgono, per il momento, “solo500 milioni di euro, o il 3% del totale della spesa It del nostro Paese, vale la pena di ricordare che «si tratta di una trasformazione continua e pervasiva, visto che va a coinvolgere la Pmi come lo studio commercialista».

Alla fine, ogni calice di champagne è pagato per consumo.
Ma sempre di champagne si tratta.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome