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VMware, dal cloud opportunità per i provider italiani

Per VMware il cloud è una scelta di campo, che non sntura, tuttavia, il focus sul quale la società ha costruito la propria storia.
“Da oltre un anno abbiamo pensato a come posizionarci nel mondo cloud – ci ha raccontato Maurizio Carli, vice president worldwide sales della società, da noi incontrato in occasione dell’edizione europea di VMworld, in corso in questi giorni a Barcellona –  perché non vi è cliente che non vi stia pensando o che non abbia preso in considerazione un modello di business che contempli il cloud”.
E la decisione è stata subito chiara: “Abbiamo scelto di non entrare nel business dei datacenter, piuttosto di fare leva sulle nostre tecnologie e competenze”.
L’idea, così come già spiegato nel corso del keynote inaugurale dal Ceo Pat Gelsinger, è quella di uscire dalle rigide compartimentazioni di cloud pubblici, privati o ibridi, ma di “lasciare sostanzialmente a ogni cliente la libertà di utilizzare qualsiasi tipo di cloud e di realizzare deployment applicativi su qualunque cloud di sua scelta, grazie alle nostre tecnologie, a NSX, alla soluzione di management vRealize”.

Per VMware focus sulle partnership

Un tal scenario, è evidente, ha bisogno di forti partnership. E qui è evidente il riferimento dell’accordo sviluppato con IBM lo scorso mese di marzo e riconfermata a fine agosto, e quello più recente con AWS.
Per quanto riguarda in particolare AWS, Carli ricorda come l’SDDC (Software Defined Data Center) di VMware verrà installato all’interno dell’infrastruttura Amazon.
La sostanziale differenza tra le due collaborazioni, sta nell’approccio commerciale: nel primo caso è IBM che commercializza le soluzioni VMware, riconoscendo le fee all’azienda, nel secondo la vendita è in capo a VMware,c he a sua volta riconosce il dovuto ad Amazon.
L’accordo, racconta ancora Carli, è stato accolto con particolare favore dai partner.
E probabilmente le reazioni più positive sono quelle che arrivano dai service provider, che hanno la possibilità di scegliere di utilizzare la loro infrastruttura, oppure appoggiarsi ad AWS o SoftLayer.
“Il mercato si sta spostando verso un modello di utility senza infrastrutture e noi ci poniamo come bridge, come ponte, tra il mondo legacy e il mondo cloud”.
Quanto alla acquisizione di EMC da parte di Dell e agli effetti sul futuro di VMware, Carli è tranquillo: “L’acquisizione di EMC da parte di Dell è una operazione di consolidamento sul mercato. Ma come era stato detto fin dall’inizio, VMware resta indipendente: dobbiamo operare in un ecosistema ed è importante che operiamo con il maggior numero possibile di partner”.

Il fronte italiano

Sul fronte italiano, è Alberto Bullani, country manager della società, che commenta il recente accordo: “L’alleanza con AWS cambia lo scenario. Prima per noi era un competitor, oggi è un partner importante, che si aggiunge a Ibm”.
Ma non è qui che ci si ferma.
“In Italia noi abbiamo in essere importanti collaborazioni con Telecom Italia, Aruba, Dedagroup, Clouditalia, destinate a crescere nel tempo”.
Sono realtà che hanno datacenter nel nostro Paese, ma non hanno la stessa interoperabilità di Softlayer o IBM che hanno lo stack SDDC installato in casa. È però questione di tempo: gradualmente si arriverà anche lì.
“Il nostro obiettivo è aiutare i clienti in questa evoluzione e le strade possibili sono due: o adottare la nostra Cloud Foundation, realizzando un cloud privato in casa, oppure rivolgersi a una serie di interlocutori, da Amazon ad Azure a Google, scegliendo poi VMware per la governance e i cross cloud services”, spiega Luca Zerminiani, Pre Sales Manager.
Quanto ai partner, che in Italia veicolano oltre il 90 per cento delle vendite di VMware, Bullani è chiaro: “Il loro ruolo è accompagnare le aziende nel percorso di trasformazione: non  vendono tecnologia, ma accompagnano una strategia”.
Il percorso, tuttavia, è ancora lungo: al momento il fatturato che deriva dal cloud in Italia non supera il 10 per cento del totale. Siamo in buona compagnia, visto che Francia, Svizzera, Benelux sono sulle nostre stesse quote, ma non si può non considerare che Nordics, Sudafrica e Spagna si muovono nell’ordine del 30 per cento.

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