Opensource per il mission critical? Non è una novità

Gartner e Idc decretano il successo open nell’enterprise, che non è solo merito di un basso Tco. Gianni Anquilletti di Red Hat dice la sua e cita casi italiani.

Da tempo si discute di quanto il modello opensource sia effettivamente in grado di sostenere un’implementazione su larga scala in ambiente enterprise.

A quelli che vengono unanimemente riconosciuti come vantaggi di questo modello, ovvero la possibilità di calibrare  meglio gli investimenti iniziali e la totale aderenza agli standard di mercato, si contrappongono preoccupazioni latenti, legate soprattutto all’affidabilità delle piattaforme ed al supporto ad essere fornito.

Tra i più recenti contributi alla discussione si segnalano studi condotti dagli analisti, dedicati proprio alla capacità da parte delle piattaforme opensource di sostenere implementazioni critiche.

In particolare, uno studio Gartner fresco di pubblicazione da parte evidenzia come il 70% di un campione di aziende recentemente monitorato abbia scelto di adottare il software opensource come parte della propria strategia It.

In particolare, secondo lo studio, la crescente diffusione dell’opensource in ambito aziendale sia guidata non soltanto da un Tco più favorevole, ma anche dall’ottenimento di un reale beneficio competitivo.

Anche Idc ha detto la sua sul tema nello studio “The Business Value of JBoss Enterprise Application Platform“.
Su incarico di Red Hat, ha esaminato il valore di business legato all’adozione di JBoss Enterprise Application Platform da parte di sei grandi clienti JBoss.

Lo studio ha mostrato come le aziende che hanno scelto la piattaforma sono state in grado di risparmiare oltre 6 milioni di dollari a testa, rispetto all’utilizzo di application server proprietari, di tipo tradizionale.

Oltre al puro risparmio economico, lo studio ha mostrato anche come le organizzazioni che sono passate a JBoss Enterprise Application Platform da application server proprietari di tipo tradizionale, siano riuscite ad ottenere benefici legati ad un incremento del fatturato e a una maggiore efficienza dei processi di sviluppo.

«Gli analisti mostrano nei fatti quanto noi sosteniamo da sempre: ovvero che l’opensource da un lato sia perfettamente in grado di sostenere applicazioni mission-critical anche nel caso di implementazioni su larga scala, dall’altro che la sua adozione possa portare una serie non indifferente di vantaggi, solo in parte limitati al tema puramente economico, di risparmio nei costi delle licenze», commenta Gianni Anguilletti, County Manager di Red Hat Italia.

«Il modello opensource – continua – sa consentire la realizzazione di tecnologie non solo più sostenibili sotto il profilo economico ma anche meglio rispondenti alle esigenze di agilità competitiva ed efficienza operativa delle organizzazioni che le utilizzano. Infatti il grado di innovazione, la rapidità di sviluppo, l’aderenza agli standard, la flessibilità e le performance che caratterizzano il software open sono considerati sempre di più come i reali fattori stimolanti per la sua adozione in ambiti mission e business critical».

«In particolare – per il manager – l‘opensource permette di mantenere il controllo sullo sviluppo delle applicazioni da cui dipende la produttività. In un momento di grandi movimenti sul mercato, con acquisizioni e fusioni, che portano inevitabilmente a ripercussioni sulle roadmap di prodotto, la disponibilità del codice sorgente e l’indipendenza dal fornitore del software sono un valore nell’elaborazione di una strategia».

Per Anguilletti il valore che le soluzioni opensource possono portare alle strategie aziendali è mostrato da numerose esperienze concrete, anche italiane.

«Alcuni tra i più importanti sistemi It al mondo operano da tempo su piattaforma Red Hat: cito tra i tanti Nyse/Euronext e Deutsche Boerse per il mercato finance. In Italia possiamo contare su clienti del calibro di Fineco, Iwbank, Ministero di Giustizia, Ministero delle Finanze e Poste Italiane», conclude Anguilletti.

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