Notebook made in Italy

Diverse aziende italiane stanno mettendo in piedi la produzione di “no brand” portatili. Cerchiamo di capire quanto e come cambierà questo business

Da due anni a questa parte si è assistito a uno spostamento graduale da parte della domanda di pc dai desktop ai notebook con conseguenti nuove opportunità di business. Abbiamo voluto capire se questa opportunità abbia avuto anche un riscontro tra i produttori italiani di pc, ovvero tra le aziende di casa nostra che importano portatili barebone e poi li assemblano e rivendono attraverso terze parti. I dati che abbiamo raccolto, da più fonti, risultano in alcuni casi anche in contrasto tra di loro, ma indicativi di un mercato che sta incontrando il favore del pubblico, sia aziendale, sia consumer. Idc aveva stimato per la fine del 2002 887mila portatili venduti in tutt’Italia, con una crescita del 13,4% rispetto ai 782.187 dell’anno precedente. Di altro avviso sembra invece essere Gfk, che però analizza un diverso periodo, fornendoci i dati delle vendite di notebook da ottobre 2001 a settembre 2002 (non essendo disponibili i dati di fine anno al momento della stesura di questo articolo). Così a fine settembre questa società di analisi calcola che siano stati venduti 518.174 notebook, con una crescita piuttosto limitata (+0,6%) sullo stesso periodo rispetto ai dati di Idc (che tra l’altro sono in linea con quelli forniti anche da Netconsulting, la società di ricerca che redige il rapporto Assinform). Prendendo in esame, invece, il bimestre agosto-settembre 2002, e confrontandolo con quello dell’anno precedente, la qualità in unità indicata da Gfk è invece del 18%, e quella in volume del 26%. Ma i dati Gfk sono comunque utili perché forniscono uno spaccato di vendite, sia in unità, sia in valore, suddivise per i vari canali commerciali.
E in linea con altri analisti, infatti, Gfk mostra come sia cresciuto il peso delle grandi superfici di vendita specializzate e non, nella commercializzazione di questi prodotti. Una strada ormai tracciata non più solo per il mercato delle stampanti e degli accessori, ma anche per beni di maggiore valore come, appunto, i pc desktop e i notebook. La Gdo ha incrementato le vendite di portatili di ben il 126%, e un buon risultato l’ha ottenuto anche la Gds, con le grandi superfici specializzate in elettronica di consumo che hanno aumentato del 48,6% la vendita di questi prodotti. I computer shop rimangono comunque, per ora, i luoghi di eccellenza per l’acquisto di notebook e in crescita del 17% sull’anno precedente. In netto calo, invece, la vendita attraverso i rivenditori a valore, qui contemplati sotto la voce software house, lo scorso anno protagonisti principali, e oggi in calo del 35%.
In discesa il giro d’affari generato con un decremento del 13,7%, probabilmente dovuto all’abbassamento progressivo dei prezzi di questi prodotti.
I canali più penalizzati, da questo punto di vista, sono risultati essere le software house (o rivenditori a valore), che perdono il 42,7% in valore, a beneficio soprattutto della Gdo, che ha aumentato le vendite in valore del 95%. La società di ricerca Sirmi dà un’altra indicazione riguardo la vendita di questi prodotti. La sua valutazione per la fine del 2002 è stata di 782mila notebook venduti, il 92% dei quali a opera dei primi dieci big di questo mercato e solo un 7% relativo ai restanti protagonisti del mercato (sia internazionali sia locali), i quali hanno venduto 58.900 portatili nel 2002 (-10% rispetto all’anno precedente). Se Sirmi assegna un 7% al mercato “extra top brand”, Idc indica, invece, che la quota dei notebook cloni sul mercato italiano sia del 10% e che non sia in calo, ma in crescita del 6% rispetto all’anno precedente. Ed è qui che si inserisce la nostra inchiesta per capire quali saranno le prossime strategie.

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