L’outsourcing, maturo e in evoluzione

Se ne è discusso all’OutsourceWorld americano: il fenomeno cresce grazie all’offshore.

Come sta cambiando l’outsourcing. Lo hanno discusso recentemente all’OutsourceWorld di New York vari esponenti del mondo dell’offerta di soluzioni e dell’analisi di business.
La prima conclusione che si può trarre, dal risalto dato alle discussioni dalla stampa americana, è quella di un panorama in evoluzione verso un livello più alto di specializzazione di sofisticazione dei servizi.


Si parla, infatti, di servizi di stampo utility, modulari o a componenti, segno, è stato fatto osservare, che il settore sta viaggiando in un contesto di maturità, oltretutto percorso dal vento innovativo dell’offshore, ovvero dello spostamento delle attività di outsourcing in paesi terzi, in cui il costo del lavoro inferiore e la crescente specializzazione del personale stanno determinando un vantaggio competitivo. Fenomeno, quest’ultimo, ormai giunto a una fase se non di maturità, di consistenza tale che fa intendere di aver superato il punto di non ritorno.


Secondo quanto attribuito a Peter Bendor Samuel, ceo di Everest Group, società di consulenza specializzata proprio in outsourcing, infatti, ormai l’offshore outsourcing non è più un affare per le grosse società mondiali, quelle, per intenderci, che vengono posizionate nella famosa classifica delle Global 1000. Oramai, secondo Bendor, si interessano a questa metodologia di terziarizzazione anche società di fascia più bassa. Il che segnala un trend in ascesa.


Al momento, secondo quanto riferisce Allen Weinberg responsabile americano dell’offshoring per McKinsey, le attività di offshoring sono occupano, nel mondo, un milione di persone, fra lavori riconducibili all’It pura e al Bpo (Business process outsourcing). Si tratta di un numero che, nel giro di una decina d’anni, potrebbe crescere fino a 6-8 milioni.


Globalmente, secondo i convenuti all’OutsourceWorld, sia le società utenti di offshore outsourcing, sia i fornitori, si stanno specializzando anche sotto l’aspetto della gestione dei propri rapporti, non più limitata a un aspetto passivo della committenza. Per loro, cioè, non si tratta più solamente di delegare le operazioni, ma anche di inserire in un capitolato di gestione aziendale aspetti come la durata dei contratti. Sotto questo profilo la tendenza che emerge è quella di un rigetto dei lunghi contratti multi-annuali, con periodica verifica di tempi e Sla (Service level agreement).


L’aspetto costi, ovviamente, è parte del quadro, e motiva la continua insorgenza di nuovi soggetti in Paesi che garantiscono un costo del lavoro contenuto (come India, Cina, ma anche appartenenti all’Europa dell’Est, come la Romania) che riescono anche a specializzarsi su tematiche verticali dell’outsourcing, modularizzando la propria offerta, come avviene in campo finanziario.


Altro fenomeno, portato alla luce da Eds, è quello dell’outsourcing trasversale (cross company), che consente a più società di unire le forze per riuscire a salire nella scala dimensionale, per arrivare a una grandezza che abilita le economie di scala tipiche dell’outsourcing. Un esempio di questo è ciò che accade nel comparto assicurativo, nel quale diverse società condividono le strutture che seguono la parte meramente amministrativa della gestione pratiche.


Nel complesso, in diverse aree del mondo si assiste anche a un fenomeno di specializzazione nel quale il fattore geografico gioca un ruolo primario, come accade in Messico per il mercato americano (da sempre affine), e in Romania per quello europeo occidentale, con un’offerta basata su un valido multilinguismo e su un retroterra formativo in cui la buona tradizione universitaria rumena in campo ingegneristico riesce a mostrare i propri effetti.

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