Outsourcing. Si, anche per le Pmi

L’outsourcing dell’It fa il 35% del mercato servizi ed è in crescita. Un’indagine Sirmi su 250 piccole e medie imprese ne mette in luce un aspetto ancora legato all’operation. Il tema “contratto” è ancora poco chiaro.

Il segmento dell’outsourcing rappresenta il 35% del mercato dei servizi ed è ancora uno dei pochi a offrire tassi di crescita positivi, seppur limitati. È un settore piuttosto variegato che al suo interno annovera componenti con andamento flat, se non addirittura in regressione, a fianco di componenti che hanno trend positivi a due cifre, come per esempio la gestione documentale o della sicurezza. Per fare un po’ più di chiarezza sull’argomento, Sirmi e Milano Finanza hanno organizzato il convegno “Outsourcing & Offshore Outsourcing: gestire e sviluppare il business”.


Durante i lavori è emerso che nella grande azienda si dice che il mercato è sicuramente molto ben presidiato e si trova a dover affrontare il problema del rinnovo dei contratti con significative riduzioni dei prezzi e alti costi qualora si decida di cambiare il fornitore.


Diverso è il discorso della piccola e media impresa: trascurata dai grandi player, dispone di notevoli potenzialità ma l’offerta è scarsa e sono pochi gli operatori focalizzati. L’outsourcing non rappresenta più solo un’opportunità per ridurre i costi e aumentare l’efficienza, ma significa anche un miglioramento tecnologico delle procedure di sicurezza e nuove competenze interne.


Da un’indagine condotta da Sirmi su 250 piccole e medie aziende italiane è emerso che si ricorre all’outsourcing principalmente per diminuire i costi di gestione (43,8%) o migliorare l’efficienza (32,3%). Le Pmi sono interessate a fare outsourcing per la manutenzione dell’hardware (62,4%), per i servizi Tlc (60,3%), per lo sviluppo di applicazioni (56,7%) e per l’utilizzo di Internet (54,6%). Tra le aziende che non hanno ancora provato l’outsourcing emerge la paura di dipendere troppo dal fornitore e di perdere know-how tecnologico.


«Dall’indagine – ha precisato Enrico Acquati, direttore consulenza e ricerca di Sirmi – si nota che il discorso dei costi non è in generale molto sentito. Le aziende sono più sensibili alla possibilità di seguire meglio l’evoluzione tecnologica, di non avere l’onere di procurarsi le competenze tecnologiche o di disporre di un servizio migliore».


Secondo Federico Rajola, professore di Organizzazione sistemi informativi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, «ci troviamo in una fase di disillusione, di outsourcing indiscriminato e stiamo andando alla ricerca di forme organizzative alternative che ci consentano di sopperire al gap culturale». I fornitori di outsourcing infrastrutturali non devono avere solo competenze procedurali e settoriali ma anche sull’industry e sulla tipologia di processi del cliente.


Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi, ha invece puntato l’indice sul contratto. «È una delle cose più complicate e difficili da mettere a punto – ha sostenuto -. E una volta definito viene in genere messo in un cassetto e dimenticato. Al più, viene ripreso in mano se non sono rispettati i livelli di servizio».


Secondo Maurizio Belloni, direttore generale di Siemens Business Services, «anche se ogni contratto deve avere un’ossatura” costante, deve prevedere una variazione dei servizi per potersi adeguare alla mutate necessità dell’azienda. Stanno prendendo piede forme di contratto in cui l’outsourcer guadagna di più o di meno a seconda dell’andamento del business dell’azienda».


Il convegno è stato concluso da un intervento di Ettore Galasso, Cto di Expopage, che ha sottolineando come occorra un team di controllo in tutte le fasi di un progetto di outsourcing.

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