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L’IoT non deve essere una bolla

Al pari di altri fenomeni tecnologici come i big data, anche l’Internet of Things (IoT) è giunta all’apice dell’Hype Cycle di Gartner. E alla stessa stregua dei big data, è caratterizzata da messaggi, iperboli e parole chiave, che ne fanno il nuovo paradigma di riferimento per i CIO e per chi fa IT per il business.

A sostenerlo è Niall O’Doherty, Business Development Director for Manufacturing and Energy, di Teradata. Che si spinge oltre: molte aziende non sanno dimostrare il valore generato dai loro investimenti in big data, e lo stesso si verificherà anche per i progetti IoT.

Niall O'doherty, Business Development Director for Manufacturing and Energy Teradata
Niall O’Doherty, Business Development Director for Manufacturing and Energy Teradata

Sapere che farne il prima possibile

O’Doherty ricorda come il general manager di Intel Cloud Platforms Group, Jason Waxman, disse che il segreto dei big data “consiste nel fatto che in realtà nessuno sa cosa farci”. «Avrebbe potuto dire la stessa cosa dell’IoT – sostiene -. Chi per primo ha puntato sull’IoT crede di sapere cosa farci. Ma quando arriva il momento di capire realmente come usarlo e metterlo a frutto, ecco che tutto diventa più complicato. E questo perché non si sono posti la domanda fondamentale: quali sfide di business sto cercando di risolvere?». Ma perché, secondo O’Doherty, così tante aziende faticano a rispondere a questa domanda?

L’evoluzione a basso costo

La classica evoluzione tecnologica di stampo mooreano (più potenza, più capacità, più connettività) è il fattore trainante per l’IoT. Man mano che il costo dei sensori diminuisce e ne aumenta la potenza, vengono montati su quasi tutti i dispositivi o macchine. Man mano che la connettività diventa più veloce e meno costosa questi dispositivi possono essere connessi a internet e collegati tra loro. Eliminando i problemi di hardware e di interoperabilità, cosa resta con tutti questi sensori e dispositivi connessi?

Data lake, area di parcheggio

«Restano i dati – dice O’Doherty -. E molto spesso si tratta di big data. Molte aziende stanno ancora faticando nel trarre profitti dai loro investimenti in big data, e di più sono bloccate nel circolo vizioso infinito, fare cioè solo le attività che conoscono bene. Negli anni 80 e 90, le aziende leader avevano compreso il valore dei dati e, in particolare, che aggregare le sorgenti di dati aziendali aumentava questo valore. Mi sembra però che mentre la tecnologia continua ad evolvere ad una velocità esorbitante, l’approccio alla gestione dei dati e agli analytics nella maggior parte delle aziende stia invece regredendo. Noto che molte aziende stanno creando data lake per archiviare tutti i loro dati IoT senza sapere come questo si potrà tradurre in valore per il loro business. In molti casi stanno semplicemente sostituendo unità a nastro con un nuovo tipo economico di storage. Il risultato non è quindi nient’altro che silos migliori di dati, cioè un ossimoro».

L’IoT non è un pianeta

Secondo O’Doherty l’IoT è un grande facilitatore, e se vogliamo che rivoluzioni l’azienda, non possiamo considerarlo un qualcosa a se stante. È necessario combinarlo con i dati di tutta l’organizzazione: lo storico dei clienti, i tassi di utilizzo, le informazioni finanziarie e logistiche della supply chain: «è nel momento in cui avremo la capacità di analizzare tutti i dati in modo continuativo attraverso tutti i processi, che saremo in grado di affrontare con sicurezza sfide di business complesse», dice. Si tratta di sfide come la previsione della rottura di un componente di un macchinario e la sua revisione da parte del servizio assistenza prima che la rottura accada. Oppure sapere non solo quando svuotare un bidone della spazzatura, ma tutti i bidoni di un intero quartiere.

Se l’IoT dev’essere l’acceleratore dell’azienda, allora bisogna raccogliere tutti i dati e utilizzare analytics migliori. La sfida è sempre la conoscenza.

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