L’evoluzione marketing del Cio

Il Chief information officer di nuova generazione deve essere stratega, orientarsi al business e costruire il giusto team per far comprendere il valore dell’It. Le opinioni di chi vive questo percorso, in un convegno organizzato da Lineaedp

Lunga vita al Cio. A patto che sappia essere proattivo e con una sensibilità marketing. È la conclusione cui sono giunti i 22 responsabili It presenti all’incontro Cio Smart Enterprise Exchange, organizzato a Roma da Lineaedp in collaborazione con la rivista americana Smart Enterprise Magazine e Ca.

La giornata di lavoro è stata un’occasione per scambiarsi idee e fare il punto della situazione, per condividere problematiche comuni e perplessità relative al ruolo nuovo che il manager It deve assumere in azienda. Specialmente ora, in un momento in cui la crisi spinge molte imprese a tagliare i costi: quelle più conservatrici tendono ancora a vedere l’It come una voce di costo; quelle più lungimiranti considerano l’investimento in Information technology come un’opportunità per ottimizzare le risorse, anche attraverso la creazione di strumenti per la gestione dei flussi di lavoro, come è accaduto nel caso di Saipem. Spunto iniziale dell’evento è stato, infatti l’intervento di Alessandro Tintori, Ict project management manager della società del Gruppo Eni, che ha illustrato la soluzione sviluppata, col supporto di Accenture e Ca, per l’analisi dei carichi di lavoro sia all’interno dell’azienda che all’esterno (nel caso di attività date in outsourcing) e per una ridistribuzione di tali carichi. «Abbiamo optato per una soluzione commerciale che poi è stata adattata alle nostre esigenze – ha illustrato -. Come motore di pianificazione abbiamo scelto Clarity, PeopleSoft per il timesheet, Planet per la gestione dei contratti esterni e Sap per le interconnessioni. C’è stato un investimento significativo in termini di risorse e a gennaio del 2008 la soluzione è stata applicata alla business unit Snamprogettisud, che conta 200 persone. Il rilascio più importante è avvenuto a ottobre e contiamo di applicare la soluzione via via al resto delle divisioni. Superate alcune rigidità in fase di personalizzazione, visto che partivamo da una soluzione commerciale, l’investimento porterà successi nel medio/lungo periodo».

Se il progetto di workflow management proposto da Saipem è stato studiato per gestire in modo ottimale le risorse umane, in base alla definizione dei ruoli e delle famiglie professionali, in Europcar Italia è stata anche la gestione dei costi a coinvolgere il responsabile dei sistemi informativi, Riccardo Menichetti: «Mi sono trovato ad analizzare, utilizzando una soluzione ad hoc, non solo le risorse umane e le ore di lavoro ma anche i costi, che rimangono un elemento centrale» e assumono una rilevanza variabile, in rapporto alla qualità del prodotto o servizio e al variare del business. «L’azione della concorrenza è fondamentale per determinare il vantaggio dell’investimento – è intervenuto Giovanni Rando Mazzarino, direttore It & Operations di Lottomatica -. Il costo fino a 2-3 anni fa era un’ossessione; oggi, non è più così se consente all’azienda di essere time-to-market e di migliorare la qualità dell’offerta. L’It deve essere in grado di trasformare l’esperienza in valore, coordinando i fornitori, il mercato e gli obiettivi dibusiness».

E proprio il tempo è una criticità che i Cio si trovano ad affrontare quando propongono un nuovo progetto. «Purtroppo c’è una sorta di schizofrenia aziendale che vuole risolvere in pochi mesi problematiche che richiederebbero lustri – ha sottolineato Pierluigi De Marinis, responsabile dei servizi informativi di Anas -. Affinché siano accolti, alcuni tipi di progetto devono essere proposti con un appeal che punti sul concetto “lavorare meno e meglio”».

Perché migliorare l’offerta è anche l’occasione per rivedere i processi, concentrandosi sul core business. Un aspetto più evidente per realtà che immettono sul mercato beni tangibili come Honda, che si è rinnovata in questi anni proprio investendo sull’It, come indicato da Nicola Marrone, It manager di Honda Italia Industriale. «Stiamo puntando sulla creazione della smart factory, abbiamo rivisto tutti i processi interni, riducendo i tempi di produzione. Per noi il costo non è vincolante se, in cambio, possiamo offrire un prodotto di alta qualità».

Il concetto di investimento in It per rivedere i processi e migliorare la qualità dell’offerta si sta, dunque, facendo largo, anche se a fatica, nel settore privato, mentre stenta a insinuarsi in quello pubblico. «Spesso un progetto può essere accantonato, anche se buono, perché non dà risultati nel breve periodo – ha specificato Gianluca Moretto, direttore dell’organizzazione e sistemi informativi di Fondazione Enasarco -. È difficile far capire a un amministratore delegato, con mandato di qualche anno, la bontà di un progetto che si realizzerà in un arco temporale più lungo, di cui lui probabilmente non vedrà i frutti. Si tende, dunque, a suddividere l’iniziativa in tante milestone, in modo che la frammentazione consenta di raggiungere obiettivi nel breve periodo. Il rischio che si corre, però, è la perdita di visione d’insieme».

«Eppure la sfida è proprio quella di ridurre i costi di esercizio finanziando l’innovazione – gli ha fatto eco Alessandro Musumeci, responsabile della direzione centrale dei servizi informativi di Ferrovie dello Stato -. Io non credo che pubblico e privato siano, poi, così diversi. Sta a noi far passare questo concetto. Noi non siamo più solo i custodi del Ced come un tempo, oggi ci dobbiamo confrontare con nuovi modelli di business che prevedono anche l’outsourcing di alcuni servizi: siamo al cospetto di tecnologie sempre più consumerizzate e abbiamo “costi invisibili” che dobbiamo giustificare. Essere conservativi non paga, anzi, dobbiamo sottolineare come investire in It sia la strada per tagliare i costi e migliorare il modo di lavorare». Secondo Musumeci, investire in innovazione consentirebbe una riduzione dei costi dal 5 al 20% in ogni settore dell’It, dalle soluzioni di storage alla formazione, dal software alla manutenzione. Un risparmio che deve essere la bandiera con cui il “buon Cio” porta avanti la propria strategia in azienda. Un Cio stratega che sappia orientarsi al business, oltre che all’It, e costruire un team con cui lavorare considerando tutte le variabili delle risorse umane (età, turn-over, scarsità di risorse). Il Chief information officer di nuova generazione deve anche saper valutare il contesto in cui lavora, sia a livello locale che internazionale, sviluppando una sensibilità finanziaria e una capacità di gestione del cambiamento, che include pure la ridefinizione del rapporto coi fornitori, che si devono sapere integrare col cliente, offrendo non ciò di cui dispongono ma ciò di cui il cliente ha bisogno. «Il Cio diventa uomo di marketing – ha sottolineato Musumeci – perché solo in questo modo riesce a far capire il valore dell’It, oltre a quello insito nel suo ruolo».

Ma chi insegna al Cio cosa deve fare, come comportarsi, come integrare esigenze aziendali, mercato e rapporti coi fornitori? «Il tempo per leggere, per aggiornarsi, è veramente poco – ha detto Ferdinando Mulas, Cio del ministero di Giustizia -. Molto sta alla curiosità individuale e alla capacità di inventarsi, fermo restando le competenze It; il resto dipende dalla disponibilità a correre un rischio nelle scelte, dalla progettazione di sistema alla pianificazione degli investimenti e del lavoro nel medio lungo periodo, dalla conoscenza dei processi all’interazione con i fornitori e all’interpretazione delle esigenze dell’amministrazione».

Il Cio rimane, quindi, colui che è a conoscenza del vero core business dell’azienda, elemento che lo rende la chiave di volta dei processi aziendali, valore che spesso non viene colto a pieno dall’amministrazione. «Per la nostra sopravvivenza, dobbiamo far capire l’importanza dell’integrazione tra dati e solidità dei processi, esternalizzando quanto non è realmente centrale – sottolinea Sergio de Vicariis, Cio di Erg Petroli -, di cui dobbiamo avere profonda conoscenza. E nel farlo dobbiamo essere innovativi». Le competenze tecniche rimangono basilari e «vanno calate nel prodotto stesso», ha evidenziato Nicola Rivezzi, Ict manager di Firema, che solleva la vecchia concezione del legame, a volte ancora esistente, tra Cfo e Cio il quale, quindi, si trova troppo spesso con le mani legate e limitato nel far capire il rapporto tra costi e benefici. «Al nostro interno – è intervenuto Antonio Brunetti, Cio della Siae – l’It riporta direttamente al direttore generale. La mia attività è sempre più indirizzata verso l’ottimizzazione dei processi e le conoscenze It sono messe in secondo piano, pur rimanendo fondamentali. Per esigenze di business sono diventato, ad esempio, profondo conoscitore del diritto d’autore. Dall’altro lato, sto cercando di diffondere le competenze It nei dipendenti perché non bisogna concentrarsi sul futuro di un ruolo come il nostro, bensì su quello dell’azienda per cui si lavora». Diffusione e informazione, in tal senso, acquisiscono un peso fondamentale, ma secondo Paolo Sardoni, che in Poste Italiane ha una funzione ibrida tra It e logistica, «talvolta noi responsabili It non siamo così efficaci nel comunicare i vantaggi di un progetto; dovremmo creare un’offerta in sinergia col marketing». Uno dei pericoli temuti dai Cio è la consumerizzazione della tecnologia, che provocherebbe una sorta di “perdita di autorità” da parte loro, un rischio che non si correrebbe se si parlasse di tecnologie di processo, come nel caso di Terna. «Nei processi industriali, l’It non corre questo pericolo, anzi la sua importanza strategica è ancora più evidente – ha evidenziato Fabio de Sanctis, responsabile Esercizio sistemi mercato elettrico di Terna -. Nel nostro caso, ad esempio, consente di prevedere il fabbisogno energetico degli utenti con una precisione tipica della fase commerciale». Ben diversa è la situazione di aziende che hanno cambiato il proprio business nel tempo e sono alle prese con la gestione del cambiamento, come ha fatto notare Pierluigi Berghella, responsabile It Operations di Acea Roma: «In questi anni, l’azienda è cresciuta e divenuta più complessa anche dal punto di vista dell’integrazione delle tecnologie. L’It, spesso, è consultata solo nelle fasi decisionali finali, quando le varie unità hanno già proceduto all’acquisto di soluzioni e sistemi in modo indipendente, non considerando che un basso costo spesso pregiudica flessibilità e facilità di integrazione con il resto della struttura. A noi viene chiesto di creare l’interfaccia tra le varie soluzioni, con un’impennata dei costi operativi e di mantenimento. Il risparmio iniziale genera solo ulteriori costi e perdite di tempo, perché gli acquisti non vengono né pianificati né calati nella realtà It esistente». In altri casi, anche se gli acquisti possono avvenire a livello locale, è possibile accentrare la spesa, proprio grazie all’It, come avviene per la gestione della Asl Roma E. «Nella sanità, l’It sta acquistando un’importanza strategica sempre più rilevante – ha concluso Quirino Davoli, It manager dell’azienda sanitaria locale capitolina -. Gli investimenti in It consentono di migliorare il controllo sull’intera struttura nonché di monitorare la spesa che attiene all’It stessa, anche nel caso in cui la singola Asl contatti direttamente il fornitore e proceda individualmente all’acquisto».

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